Il mare non bagna Napoli

“Il mare non bagna Napoli” è il titolo di una raccolta di racconti e reportage giornalistici di Anna Maria Ortese in cui vengono descritti aspetti di povertà materiale e morale nella Napoli dell’immediato secondo dopoguerra.

Il mio racconto ne prende in prestito il titolo ma è molto più inerente al semplice significato delle sue parole.

Napoli è una città di mare, nata letteralmente su di esso o, se vogliamo, su uno scoglio circondato da esso, per poi espandersi sulla terraferma e senza mai perdere il contatto con l’ambiente che l’ha partorita.

Destinata ad una continua e veloce espansione, parte di essa, quella che poi darà vita alla futura odierna Napoli, si spostò un po’ più all’interno, atterrazzata tra mare e collina.

Non saprei raccontarvi dell’istante giusto in cui successe ma…da quel momento, il napoletano perse, per sempre, il contatto diretto con quello che era sempre stato il suo elemento naturale.

Da allora, per ovvie esigenze di difesa, fino al XIX secolo, lo sbocco alla spiaggia, o a quello che attualmente resta di essa, è sempre stato ostacolato da alte e maestose mura difensive il cui fine era di vietare l’ingresso a bellicosi estranei ma che, purtroppo, rendeva meno agevole anche l’uscita dalla città verso il mare, poiché sarebbe potuta avvenire solo attraverso le sue sorvegliatissime porte.

Già dai tempi della nostra cara Neapolis quindi, e parliamo di 2000 anni fà, la murazione del versante marino, cioè quello meridionale, separava inevitabilmente la città dalle amate onde.

Provenienti da via Costantinopoli e piazza Bellini, le mura passavano per piazza San Domenico Maggiore, una volta terra di confine di Neapolis, e proseguivano in entrambi i lati di via Mezzocannone, attraversavano la zona ora occupata da tutto il complesso della facoltà universitaria, scendevano per le rampe di San Marcellino, intercettavano via Arte della Lana e Archivio di Stato, piazza Nicola Amore, e risalivano per piazza Calenda, dove, il popolare “ceppo a forcella”, ne è mirabile testimonianza.

Non ci è dato sapere se il desiderio dei ragazzi dell’epoca, era quello di tuffarsi nelle limpide acque di allora, ma se cosi fosse, per l’esistenza di quella barriera, tanti antenati dei nostri attuali scugnizzi, avrebbero dovuto desistere nel tentare qualsiasi scorribanda.

Di porte di accesso al mare ne esistevano tante, in via Mezzocannone sorgeva porta Ventosa, il cui nome deriverebbe dal fatto che era esposta ai venti di scirocco; Porta Cumana, ubicata a piazza San Domenico Maggiore oltre la quale non esisteva ancora piazza del Gesù Nuovo, e versante meridionale della urbi greco-romana, e probabilmente si sarebbe potuto accedere per il mare, dalla porta furcillensis o dal “cippo”, anche se le loro direzioni portavano verso nord, comunque vicino al mare, ma non era facile oltrepassarle in qualsiasi momento, specie in tempi di guerra.

Intanto, forse non sentendosi amato dal popolo partenopeo, il mare, poco alla volta ma inesorabilmente, si allontanava sempre più dalla città lasciando liberi ampi spazi che venivano man mano incorporati dalle mura difensive.

Ad un ritiro graduale del mare corrispondeva un allargamento della città e in un periodo tardo romano, da piazza Bellini, le mura non andavano piu a restringersi verso san Domenico ma si allargavano scendendo per via San Sebastiano, attraversavano piazza del Gesù Nuovo, via Carrozzieri, Santa Maria la Nova, via Sedile di Porto e si riallacciavano al vecchio tracciato presso San Giovanni Maggiore dopo essersi impossessate del vecchio porto ormai scomparso (ma oggi riscoperto) in piazza della Borsa, anche lì il mare aveva rinunciato a bagnare la città e dopo aver fornito all’uomo, per secoli, una valida insenatura portuale, indietreggiava fino a liberare dal suo abbraccio anche la chiesa di santa Maria di Portosalvo, piccola appendice di terra, una volta lambita dalle acque.

In tutte le epoche passate, la città ha sempre inseguito il suo mare come per non perdere l’antico connubio, ma l’accostamento non fu mai con un contatto diretto; più volte la recinzione venne modificata per consentire soprattutto d’inglobare i nuovi quartieri, ma sempre con una netta separazione dalle acque.

Ancora di più osò Narsète che, impietosamente, ampliò le mura meridionali fino a toccare il mare, come a volerlo mortificare, innalzando un antemurale di gran lunga più vicino alla costa rispetto alla precedente murazione, e marcando ancora di più la separazione.

Le cose non andarono meglio, secoli dopo, con gli Angioini, artefici di un allargamento delle mura che inglobò la zona del moricino, diventata poi piazza del Mercato e anch’essa, insieme al Lavinaio, da allora non vedrà mai più il mare perdendone definitivamente il contatto.

Dal 1500 fino al 1800 il rapporto odio/amore tra la città e il mare non cambiò molto.

A causa dell’elevato aumento incontrollato della popolazione e la richiesta sempre maggiore di spazio, le mura erano ormai arrivate a ridosso della linea di costa , i napoletani sentivano l’odore e il rumore delle onde, ma la visione era sempre a loro vietata.

Ma l’attrazione del popolo verso le sue origini era forte e molte porte vennero aperte nel muro per sopperire all’istintiva esigenza.

Molte erano già esistenti sin dai primi anni del Medioevo, altre furono aggiunte in varie epoche, ripristinate con il vicereame spagnolo ma scomparse tra la prima metà e gli ultimi anni del XIX secolo.

Lungo il percorso costiero vi erano la porta del Carmine, la porta della conceria sostituita dal vado del Carmine nel 1748, porta di Santa Maria a Parete (poi detta di Santa Maria Apparente) demolita nel 1877, porta delle Mandre, Porta dei Bottari o dello Speron del Sale, Porta dello Zabo o Zabatteria, definita anche di Mezzo o dei Tornieri, murata nel 1875, Porta di Sant’Andrea degli Scopari, Porta della Pietra del Pesce, demolita nel 1855, Porta della Marina del Vino, scomparsa nel 1968, Porta del Caputo scomparsa nel 1869, Porta di Massa, scomparsa nel 1883, Porta del Molo piccolo o di Portosalvo, Porta di Olivares, Porta dell’Olio o dei Greci, detta poi del Mandracchio, Porta della Calce, scomparsa nella seconda metà del XVIII secolo, Porta dei Pulci e porta della Marina del Vino.

Al termine di via del Piliero, a fianco alla chiesa di Santa Maria del Rimedio al Molo Grande, vi era la porta dell’Arsenale, prettamente difensiva, demolita nella risistemazione di Carlo III insieme alla porta della Calce.

Nel secolo XIX, durante gli anni del 1800, avvengono radicali cambiamenti, le modalità belliche cambiano e ogni tipo di murazione, torre o castello, oltre ad essere fatiscente, diventano inutili se non addirittura ingombranti.

E quando sembra avviarsi l’apertura della città verso il mare con la demolizione (purtroppo) di tutte le barriere e i fortilizi militari che per millenni tennero distaccati i due contesti, ecco avanzare un altro tipo di barriera che ha continuato a interdire al napoletano, per molto tempo ancora, l’immediato accesso al suo mare.

Gli allargamenti dei porti, militare, turistico e mercantile, ingloberanno, entro di essi, tutta la linea costiera, da piazza Municipio a San Giovanni a Teduccio; verranno costruite nuove banchine, lunghi moli di carenaggio, grandi silos e magazzini, e tutto verrà, fino a pochi decenni fa, rinchiuso in una nuova alta murazione lungo tutta la strada marina, che impedirà ancora, al cittadino, la visuale e il passaggio all’accesso del golfo piu bello del mondo.

Questa nuova situazione durò per quasi un secolo, solo pochi decenni fa questo impedimento fu finalmente abbattuto.

Per la gioia del napoletano, oggi si può finalmente accedere, da piu parti, al mare, ma a quali acque, dopo 2000 anni, abbiamo accesso? Certo non a quelle in cui si sarebbero potuti bagnare i nostri avi greci, ma neanche a quelle dei tempi dei nostri nonni.

E anche oggi, come ieri, la balneazione ci è vietata e, per avere un po di refrigerio, siamo costretti a metterci in auto e viaggiare per centinaia di chilometri fino a raggiungere località ancora balneabili e, per un popolo di mare, non sono pochi.

I liquami cittadini, i residui delle navigazione, una non attenta gestione dell’ambiente naturale, hanno fatto si che il mare di Napoli sia ormai ridotto solo ad un’ immagine da cartolina, un oggetto da ritrarre per rappresentare una città inimitabile e immortale, ma in realtà violata e violentata dai suoi stessi figli.

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