Prima di Vigliena…il Granatello!

ANTEPOSTO

Della disastrosa e tragica avventura della “Repubblica Napoletana”, si è già parlato ampiamente nel precedente racconto “La fortezza di Vigliena”, in cui sono state evidenziate le atrocitá commesse nel Regno, in soli sei mesi, in una assurda lotta fratricida.

Solo nella città di Napoli, le uccisioni si contarono a migliaia, tra plebe e nobiltà, tra giacobini e sostenitori del re Borbone, morti uccisi in battaglia e morti giustiziati o, peggio ancora, trucidati dalla rabbia e dall’odio.

E per sei mesi nella città di Napoli infuriò il fuoco rivoluzionario giacobino, in 180 giorni i napoletani intonarono “la Carmagnola”, il canto della loro Rivoluzione, ballando intorno agli alberi della libertà piantati in tutte le piazze principali della città, coronato sul vertice, dal berretto frigio rosso e decorato con nastri e bandiere, anche esso simbolo rivoluzionario, poiché era il cappello che nell’antica Roma veniva dato dai padroni agli schiavi liberati.

Ma non tutti ballavano e cantavano, vi era chi, invece, bramava per il ritorno del Re che, per sfuggire alla furia giacobina, dovette riparare in Sicilia con tutta la sua famiglia in attesa dello svolgimento dei veloci e tragici accadimenti facendo appello al proprio dovere chi gli restava ancora fedele.


L’ESERCITO SANFEDISTA

Uno piu di tutti rispose al suo accorato richiamo, il Cardinale Ruffo, il quale si mosse in difesa della religione e del sovrano legittimo e, di sua iniziativa, si diresse a Palermo per chiedere al Re uomini e navi per restituirgli il Regno.

Ricevuto il titolo di “Comandante Generale” del Re, Ruffo ottenne una nave e sette uomini e, salpando da Palermo, sbarcò in Calabria, la sua terra natale, dove cominciò a radunare volontari, schiere di contadini e altro, fino a raggiungere il numero di 25.000 uomini abili alle armi, e Ruffo chiamò il suo esercito “Armata Cristiana e Reale”, i “sanfedisti”.

Il suo esercito cresceva sempre di più mentre avanzava, senza interruzioni e impedimenti, verso la riconquista della capitale del Regno, salendo per la Calabria, la Lucania e la Campania.

Gli uomini erano fortemente motivati nell’andare avanti avendo, come ricompensa, il dilagare liberamente in tutte le terre in cui si doveva combattere, contadini, delinquenti, ex galeotti e nullafacenti, il loro salario, per i servigi resi da sanfedista, furono la razzìa e la libertà di prendersi tutto e fare terra bruciata sul loro cammino, unico modo per dare sostentamento ad un esercito popolare di 25.000 improvvisati soldati.

Giunti alle porte di Napoli, il Cardinale Ruffo si attestò nella cittadina di Nola, mancavano poco piu di 30 km alla meta e, nell’attesa dell’ordine di avanzare, i suoi uomini spadroneggiarono in tutte le campagne, senza alcun controllo, vagando e razziando fino a quando, finalmente, si decise di proseguire e, dopo aver conquistato Somma Vesuviana, si puntò verso Portici.

IL GRANATELLO

Nel 1520, durante il passato periodo vicereale spagnolo, nella zona delle Mortelle subito adiacente al piccolo molo di Portici, fu costruita alla punta del Capo del Fico, una torre di avvistamento per difendere la costa di Portici dalle incursioni dei pirati.

Su tutta la linea costiera cittadina esisteva una piantagione di alberi di Melograno che si estendeva lungo tutto il litorale rientrando fino a piazza san Pasquale per cui, tutta la zona, prendeva il nome di “Granatello” ma, in seguito ad una eruzione vesuviana del 1631, di questa non rimase alcuna traccia se non nella memoria, infatti due colate di fango vulcanico raggiunsero il mare creando due lingue di terreno sul quale, successivamente, sarebbe stato costruito il molo.

L’area rimase selvaggia ancora per oltre un secolo, con coste rocciose e sabbiose su cui man mano sorgevano approdi di fortuna dei pescatori.

Il primo ad edificare sull’area del Granatello fu il duca Emanuele Maurizio di Lorena principe d’Elbeouf, che nel 1711 fece costruire la sua Villa e, successivamente, re Carlo III di Borbone, attratto dalla bellezza dei luoghi, decise di farvi costruire una residenza estiva per la corte partenopea, la Reggia di Portici.

LA FORTEZZA

E dopo la Reggia, nel 1740 il Sovrano fece edificare una roccaforte per difendere il Granatello dagli attacchi marittimi, soprattutto da parte dei pirati saraceni che infestavano il Mediterraneo e, a questa fortezza, venne inglobata la torre.

Il fortino doveva avere un aspetto simile alle torri di vedetta sparse lungo tutta la costa del Sud Italia, presenti sulla costa fino in Calabria, definite torri saracene, che avevano appunto lo scopo di difendere le coste del Regno delle Due Sicilie dalle incursioni dei mori.

L’11 di giugno del 1799, le orde del Cardinale Ruffo arrivarono in Portici mentre parte dell’esercito Repubblicano, sconfitto sul fiume Sarno, indietreggiò fino al Granatello asserragliandosi nella fortezza, erano poco più di mille.

A favorire la loro fuga, al largo della costa, cannoneggiavano le navi dell’ammiraglio Caracciolo ma, schiere di soldati russi, siciliani e parte dell’esercito borbonico, bloccavano loro la ritirata.

Il comandante dei rivoluzionari , il generale Schipani, per distogliere l’attenzione degli assedianti e liberare la strada per Napoli, inviò verso di essi, di nascosto, una compagnia di Dalmati loro alleati che, una volta all’interno delle forze sanfediste, cambiarono bandiera e si unirono ai russi.

Dopo una lunga battaglia e numerose vittime, i repubblicani dovettero arrendersi e il fortino del Granatello passò di nuovo in mani borboniche, Portici faceva di nuovo parte del Regno delle due Sicilie.

Oggi risulta difficile ubicare la posizione della fortezza poiché nel 1873 venne demolito a colpi di cannone e le macerie vennero portate a Napoli via mare, per essere utilizzate come base per la nuova litoranea che fiancheggiava Il Real Passeggio di Chiaia(attuale Villa Comunale).

Secondo altre fonti, il fortino fu abbattuto in quanto nella zona insistevano interessi industriali di ditte di caratterere nazionale ed a partire già dal 1901 si iniziò ad impiantare complessi industriali di rilievo nazionale.

VERSO VIGLIENA

Ora il “Sacro Esercito” non aveva più grandi impedimenti per entrare nella capitale, dell’esercito francese richiamato in patria per difendere le proprie conquiste dagli austriaci, era rimasto solo un piccolo manipolo di soldati ad affiancare i rivoluzionari giacobini napoletani.

Nella sua marcia, il cardinale faceva avanzare lentamente i suoi uomini, ai quali aveva promesso licenza e sacco, libertà di saccheggiare chiunque e dovunque, e da Portici a Napoli fu una devastazione.

Di 11 giugno cadde la fortezza porticense del “Granatello” , di 13 di giugno ricadeva la festività di sant’Antonio e, ripudiata ormai la fede verso san Gennaro da parte della plebe napoletana per il miracolo fatto al cospetto e a favore degli occupanti francesi, il Cardinale fece avanzare il suo esercito sotto la bandiera e la protezione di sant’Antonio, proprio il suo giorno, in direzione del ponte della Maddalena, per scavalcare gli acquitrinii del Sebèto, con l’intento di conquistare il primo castello cittadino, il castello del Carmine.

Ma la loro azione non fu facile, prima del mitico fiume, li aspettavano altri eroi, anch’essi calabresi come gli assalitori, e anch’essi asserragliati in una piccola fortezza, Vigliena. (La sua storia in un mio precedente racconto “La fortezza di Vigliena”).

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