Le diverse destinazioni d’uso del fabbricato museale (MANN)

INTRODUZIONE

…e se è difficile, a Napoli, trovare una fontana/statua/monumento a chilometri “0”, in egual modo sarà difficile trovare un “plesso storico”, non più utilizzato nella sua funzione originaria.

Capita spesso, o almeno così era fino a pochi anni fa, che ad immobili storici si modificassero gli usi, adibendoli, nel tempo, ad altro rispetto a quello originale e, questo, è il caso del manufatto di cui ora vi racconterò ma, com’è mia usanza, inizierò la sua storia dal suo ambiente primordiale.

FUORI LE MURA

L’antica Neapolis greca venne fondata su un leggero dislivello che, dalla parte più bassa della città, lungo il costone che affacciava sul mare, corrispondente approssimativamente al percorso dell’attuale corso Umberto, si “arrampicava” su fino alla parte più alta, Caponapoli, dove fu costruita nel IX secolo d.c., ed esiste ancora, proprio sull’apice di essa, la chiesa di sant’Aniello a Caponapoli.

Questo promontorio è delimitato tutt’ora dall’incrocio tra via Costantinopoli e piazza Cavour, giusto dove si incontravano le mura che formavano la fortificazione dell’antica città, da un lato provenienti da via Foria, lungo la quale intercettavano porta san Gennaro, e dall’altro da via Costantinopoli, dove incrociavano gli scavi di piazza Bellini i cui ruderi, probabilmente, ne facevano parte.

Proprio sotto al “promontorio”, e anch’essa reduce di ben 3 spostamenti, vi era porta Costantinopoli, (in un primo momento al fianco del Conservatorio “San Pietro a Maiella, poi avanzata nei pressi di via Sapienza) esistente dal 1500 circa e da tre secoli porta di ingresso alla città nella zona museale, ma purtroppo condannata, nel 1852, alla demolizione, venti anni prima della comparsa della galleria “Principe di Napoli”, ora elegante ma trascurata dirimpettaia del museo.

Durante l’esistenza della Neapolis greca, fuori le mura di Caponapoli, era ancora zona libera e selvaggia e, proprio li, come era usanza greca, dove ora inizia Santa Teresa degli Scalzi, fu consacrata la loro antica necropoli, (dal greco nekros, morta, e polis, città) un agglomerato di tombe disposte in modo piu o meno disordinato, risalente al V e al IV secolo a.C..

Negli scavi furono ritrovate monete, vasellame ed alcune lastre di marmo con iscrizioni latine, segno dell’uso protrattosi anche con la conquista della città da parte di Roma.

Furono ritrovate anche alcune tombe in tufo ricoperte da tegole che contenevano vasellame e due monete bronzee di età imperiale; su una di queste era raffigurato l’imperatore Antonino Pio.


LA CAVALLERIZZA

Passarono 2000 anni e al di sopra dell’antico sepolcreto, ormai ricoperto dal sedime, nel 1585 venne costruita la “Caserma di cavalleria”, all’epoca uno dei più imponenti palazzi monumentali di Napoli.

La Cavallerizza, così come fu inizialmente denominato, era molto più piccolo del palazzo attuale, ed il suo ingresso principale apriva sul lato occidentale, dove ora esiste via Santa Teresa degli Scalzi, e dove è, tuttora, visibile anche se murato.

Ma prima ancora di essere attivata ad uso militare, ci si rese conto che in zona vi era difficoltà nell’approvvigionamento dell’acqua, elemento indispensabile in grosse quantità per la presenza di numerosi cavalli, essendo essa caserma.

PALAZZO REGI STUDI, MUSEO E SEDE DI ACCADEMIE

Nel 1612 si decise, quindi, di cambiarne uso e vi fu trasferito, ancora a ristrutturazione corrente, l’università di Napoli (palazzo dei Regi Studi), proveniente da San Domenico Maggiore.

Nel 1767 giunse sul trono di Napoli Ferdinando IV che, espulsi i Gesuiti dal Regno, spostava l’università dei Regi Studi nel loro ex convento del Salvatore e decideva di trasferire nel Palazzo, ormai libero, sia il “Museo Hercolanese” dalla reggia di Portici, che il “museo Farnesiano” dalla reggia di Capodimonte, oltre alla biblioteca ed alle scuole di Belle Arti.

Seguirono ancora lavori di trasformazione e ristrutturazione e, tra le tante nell’arco di anni, nel 1780 venne realizzato, davanti al palazzo, il terrapieno con i relativi scaloni in basalto presenti ancora oggi, con il progetto di sopraelevare l’edificio ed abbattere i tetti a spiovente sopra le ali laterali per sostituirli con delle terrazze.

Tra il 1786 ed il 1788, Ferdinando IV riuscì, nonostante le vive proteste e l’opposizione di papa Pio VI, a trasferire da Roma a Napoli le ricche e importanti collezioni di antichità farnesiane ereditate da sua nonna Elisabetta Farnese.

Con l’arrivo a Napoli delle nuovi collezioni, fu progettato un nuovo costoso ampliamento dell’edificio, lavori che ebbero difficoltà ad iniziare per i costi eccessivi dei primi progetti di ristrutturazione, quindi, dopo la proposta di un ulteriore progetto ridimensionato, nel 1790 i lavori furono ripresi.

ANCHE OSSERVATORIO ASTRONOMICO

L’ anno dopo, si propose ancora di inserire nell’edificio un osservatorio astronomico che obbligò a rielaborare nuovamente l’ultimo progetto: esso prevedeva la realizzazione di un’alta torre nell’angolo nord-est dell’edificio (dove oggi è esposto il plastico di Pompei) e, benché re Ferdinando IV lo avesse approvato, i lavori iniziati vennero ben presto abbandonati poiché la zona, essendo troppo infossata, non si prestava ad un osservatorio.

L’unico “strumento” che si riuscì a realizzare nel palazzo, fu l’imponente meridiana sul pavimento del “Gran Salone”, poi chiamato “Salone della Meridiana”.

Nel 1793 venne completato il primo piano, aggiungendo finalmente le due ali laterali e la base del frontone del Gran Salone

UNA MANCATA ULTERIORE ESPANSIONE

Nel 1799 sarebbe dovuto attuarsi un ulteriore ampliamento del plesso e con l’occupazione di tutta la proprietà dei padri teresiani, la distruzione di due chiostri e persino la parziale demolizione della chiesa di santa Teresa (esistente dal 1600 e purtroppo oggi non visitabile) ma, grazie alla strenua opposizione dei conventuali, esso non fu mai realizzato e anzi neppure cominciato.

In seguito, altri piccoli lavori a nord del palazzo, portarono nel 1810 alla scoperta di una delle importanti necropoli della greca Neapolis, la necropoli di Santa Teresa, di cui si è già descritto ad inizio racconto.

In seguito, nel decennio francese di Murat del 1807, la costruzione di via santa Teresa degli Scalzi, che il francese fortemente volle per collegare direttamente la reggia di Largo Palazzo con quella di Capodimonte, mise fine alle “mire espansionistiche” del Museo.

IL REAL MUSEO BORBONICO

Dopo la parentesi murattiana, ritornando il re Ferdinando IV sul trono di Napoli (ora come “Ferdinando I Re delle Due Sicilie”), il 22 febbraio 1816 decretava ufficialmente l’istituzione del “Real Museo Borbonico”.

Nel 1852, fu eseguito l’abbattimento dei granai, le cosiddette “Fosse del Grano”, costruite tra la fine del ‘500 e inizio ‘600 a ridosso delle mura toledane e fin quasi all’altezza di port’Alba, per costituire il deposito granario della città e, mentre in una prima fase si sfruttarono delle cavità naturali, in un secondo momento si trasformarono in veri e propri magazzini in elevazione, così via Toledo, denominata in questo tratto via Pessina, veniva prolungata fino al palazzo degli Studi.

Con il successivo abbattimento delle mura cinquecentesche della città e della porta di Costantinopoli, l’edificio entrava a pieno titolo a far parte del tessuto urbano della città e, con l’unità d’Italia nel 1861, il museo diventava proprietà dello Stato ed assumeva il nome di “museo nazionale”.

VIA LE ACCADEMIE E ISTITUZIONE DEL “MUSEO NAZIONALE”

Per i continui incrementi di libri, raccolte archeologiche ed opere d’arte, soffrendo tutti i settori ospitati nel museo,di insufficiente spazio, tra il 1862 e il 1864 si giunse alla determinazione di trasferire le accademie altrove trovando loro altre sedi in città.

L’accademia di scienze e lettere fu così trasferita nell’università, mentre l’accademia di Belle Arti fu sistemata nella sua sede attuale in via Costantinopoli e via Bellini.

Nel 1866 venne proposto un progetto che prevedeva un parco pubblico tra l’attuale piazza Dante e l’ex Cavallerizza, quest’ultimo facente da quinta scenografica in fondo al parco.

Il progetto non venne realizzato per interessi speculativi edilizi che destinarono quei suoli alla costruzione di nuove abitazioni (quelle che tuttora sussistono nell’area) prima che il progetto fosse approvato.

A questo punto si cercò di riparare realizzando, fra il 1870 ed il 1883, la galleria Principe di Napoli e, nel 1920, dopo 335 anni, venne finalmente terminata la costruzione dell’edificio museale, completando gli ultimi ambienti del secondo piano nella parte rimasta incompleta, quella orientale oggi occupata dal medagliere.

 

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