Come il Vesuvio distruggerà Napoli (da uno scritto di M. Serao)

COME IL VESUVIO DISTRUGGERÀ NAPOLI

Il golfo di Napoli, un’immagine molto cara ai napoletani, e non solo a loro.

Esso viene rappresentato sulle cartoline in tutti i periodi della sua conformazione, che sia un dipinto o una foto, che sia bianco e nero o a colori, sin dai suoi elementi originali naturali fino ai recenti “aggiunti” umani.

Siamo molto affezionati al suo panorama, ogni suo singolo elemento ci appartiene come se facesse parte del nostro dna, il mare, le isole, la penisola sorrentina, posillipo, anche la sua linea costiera è familiare a tutti noi e la riconosceremmo tra tante.

E poi c’è lui, anzi “esso”, la “primadonna” di tutte le cartoline, a volte vestito di verde, altre volte vestito di nero ma non disdegna, ogni tanto, di vestirsi di un bel bianco candido, come la neve, il Vesuvio.

Sembra essere messo li apposta, quasi a guardia della città, che ci scruta giorno e notte, controlla ciò che noi facciamo e non di rado si arrabbia, non di rado sembra volerci punire per i nostri “impuri” comportamenti, vorrebbe bruciarci, incenerirci, ma per fortuna c’è qualcuno che riesce a controllarlo quando fa la voce grossa, col semplice gesto delle dita di una mano, riesce ad ammansirlo e lui, buono buono, si ritira, ma ci avverte «nun firnisce ccà, stateve accuorto».

E noi siamo tranquilli, non è cattivo, ogni tanto ci bastona come fa un buon padre che vuole punire i propri figli, e poi tanto c’è lui, san Gennaro, che lo tiene a bada.

Ma siamo sicuri che c’è la farà ancora?, e se prima o poi prendesse il sopravvento e il nostro amato santo non potesse più fare nulla? Se in un momento di “rabbia” producesse una gran quantità di “fuochi e fiamme” da diventare difficile fermarlo anche per il nostro patrono, Cosa mai succederebbe???

Un eventuale prossimo nefasto futuro lo aveva già predetto la nostra grande Matilde Serao, circa un secolo fa, che in una sua leggenda non ci và certo con la mano leggera.

Sentite cosa scrive in un estratto di un suo scritto:

“LA LEGGENDA DELL’ AVVENIRE”

Vedi tu quella montagna ai cui piedi si stendono i bei villaggi bagnati dal mare, sui cui fianchi verdi cresce la vigna del vino generoso; vedi quella montagna striata da lugubri fasce nere? È lei che farà morire Napoli: così dice la leggenda profetica.

Arde il fuoco liquido, bolle e schiuma nei fianchi della montagna e si accumula da secoli pel giorno funesto; di fuori appena una nuvoletta di fumo bianco ed innocente rivela il profondo lavorìo.

Correvano le bighe e le quadrighe per le vie di Pompeja la bella.

Amavano al sole i leggiadri garzoni dalle tuniche bianche e le fanciulle dai candidi pallii, si vestivano di bisso e si profumavano di nardo le seducenti etere, correvano giovani e vecchi al foro, alle terme, ai teatri, sulle porte delle case erano sospese corone di rose olezzanti: la montagna volle e Pompeja morì.

Quando la montagna vorrà, Napoli sarà distrutta: e il terribile e bel vicino che noi guardiamo con ammirazione e quasi con affetto, poichè egli è tanta parte della bellezza napoletana, sarà il carnefice.

E nessuno ne saprà l’ora, nè il giorno.

Nella città la gente tumultuosa andrà ai consueti uffici, correrà dove il piacere la chiama, dove la chiama il dolore, amerà, odierà, godrà, piangerà, vivrà insomma come se nulla fosse.

Nel cielo sereno brilleranno le stelle; nell’aria calma s’eleverà la sottile penna di fumo.

Poi, sul cratere, comparirà un punto rosso, come un lumicino acceso lassù, come un carboncino; i napoletani si stringeranno nelle spalle e mormoreranno: solite storie.

L’eruzione crescerà con molta lentezza e gli uomini di scienza d’allora ne constateranno i fenomeni e ne annunzieranno la prossima fine; ma l’eruzione crescerà sempre, continuamente.

Un rombo sotterraneo comincerà a far tremare i vetri delle case; tre strisce vivide di lava scorreranno lungo i fianchi della montagna; il cielo cupo si tingerà di rosso, il fondo del mare sarà rosso; giungeranno i forestieri a contemplare il mirabile spettacolo, i napoletani si affolleranno sul molo, a S. Lucia, a Mergellina, sui terrazzi, sulle colline, compresi di ammirazione.

Ma dai villaggi che sono sotto il monte principierà a fuggire la gente spaurita e si riverserà nella città, dove sarà accolta a braccia aperte — e la lava procederà sempre.
Nuove bocche si apriranno.
La lava è a Resina.

Ma i napoletani non temono: il Vesuvio è loro vecchio amico, vuole scherzare, è un brontolone, ma presto tacerà.

Poi vi è San Gennaro, che con le dita sollevate in atto d’imperio, comanda alla lava di non avanzarsi; le donne pregano il parroco della cattedrale a portare in piazza San Gennaro di argento o il prezioso suo sangue che è conservato nelle ampolline. In qualche chiesetta si prega.

Una mattina il sole non viene fuori, una fitta nube grigia nasconde il cielo, piove cenere; i napoletani sorridono ancora e vanno ai loro affari sotto quella strana pioggia.

Ma il giorno seguente il rombo diviene tumultuoso, le scosse di terremoto si succedono l’una all’altra, orribili convulsioni squassano il monte, sui cui fianchi si aprono dappertutto bocche di fuoco, le lave si uniscono, si fondono, sono una lava sola, è una montagna di lava che cammina verso la città coi suoi ruscelli di fuoco; soffocanti fetori di zolfo ammorbano l’aria, piove cenere calda e pesante, acqua bollente, piovono lapilli infuocati sulla città: riuniti al grande vulcano corrispondono, con pauroso miracolo ridestati, le eruzioni dei monte Echia, dell’Epomeo e di Pozzuoli.

Piove la morte.

Nel clamore disperato dei morenti, nel fragore delle case che nel tuono del terremoto, nella spaventosa tempesta del mare che si rizza incollerito o ribelle, nel bagliore sanguigno che capovolge la natura e le cose, la lava entra in Napoli e Napoli finisce di morire in un incendio colossale.
M. Serao

…e io aggiungo, lo so che tu che leggi stai sorridendo, non credi o non vuoi credere a questa profezìa, un’altra città a queste parole ora starebbe tremando, starebbe piangendo di disperazione, già le valigie sarebbero pronte sul letto per andare il più lontano possibile.

Ma il napoletano no, ne piange ne trema, lui non crede che il Vesuvio, tanto amato dal nostro popolo, possa fare una cosa del genere, distruggere la città che ha visto crescere in migliaia di anni, la vede come se fosse una sua creatura.

Anche sotto la pioggia di fuoco andremo al lavoro tranquillamente, scansando i fiumi di lava e tenendoci in equilibrio tra un tremore e l’altro, tanto san Gennaro, anche quest’anno, ha fatto il miracolo.

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