I lavori del “Risanamento”

Vorrei raccontare una storia, una brevissima parentesi della storia bimillenaria di Napoli avvenuta poco più di 200 anni fa’.

Una storia breve ma piena di eventi che, chi li conosce già, probabilmente ne avrà tanti altri da aggiungerne, ma chi non li conosce, ne resterà sbalordito di quando abbiano cambiato l’aspetto della nostra città in pochissimo tempo.

“Belli tiemp e na vota” dicono i vecchi nostalgici e i nuovi romantici, ma siamo sicuri che sia una giusta affermazione??? Certo, i colori da antica cartolina sono meravigliosi, l’atmosfera che si percepisce era romanticamente inebriante, ma….leggiamo un po,’ e poi si faranno le proprie valutazioni.

A cavallo tra la seconda metà del XIX secolo e gli inizi del XX secolo, fu pianificato, nella nostra città, uno stravolgimento urbano che non tenne conto di tante peculiari caratteristiche che già all’epoca, e per molto tempo addietro, ha sempre attirato turisti e artisti da ogni parte del mondo.

Un panorama naturale a 365° con caratteristiche uniche, particolari residenziali popolari da far rabbrividire ma nello stesso momento da ammirare per le capacità di adattabilità di chi li (soprav)viveva, manufatti storici accumulatisi in una storia di millenni, e manufatti artistici con influenze di decine di culture che hanno attraversato la città dalla sua nascita.

Andava sicuramente anche fatta “pulizia” di tante brutture nate e cresciute per abbandono, male gestione e poca profilassi ma, nel contempo, si sarebbero potute anche preservare tante testimonianze storiche, facendo in modo che, queste, rientrassero nel nuovo arredo cittadino.

Questa colossale opera di “sconvolgimento urbano”, passò alla storia come “Risanamento” e mutò radicalmente gran parte dei quartieri storici come Chiaia, Pendino, Porto, Mercato, Vicaria, in pratica quelli che più di tutti recavano in sé la testimonianza artistica della Napoli successiva alla prima Neapolis greco-romana.

Tralascerò, in questa narrazione, di raccontare dei lavori della “colmata” che sconvolse le spiagge e il mare (e la vita) dei pescatori di Mergellina, della Riviera di Chiaia e di Santa Lucia, avvenuta anche essa nello stesso periodo, poiché già descritta ampiamente in un mio precedente racconto.

I lavori di ricostruzioni della città che, comunque, in parte erano già in progetto e in fase di esecuzione, furono accelerati da un ennesimo caso di Colera nel 1884 il quale aggredì maggiormente e inizialmente la parte bassa di Napoli, quella piu vicino alle zone portuali.

Importata da focolai europei, arrivò presto in Italia e tra le città più colpite in cui si ebbe il piu alto numero di morti, ci fu Napoli, il cui sproporzionato e veloce aumento demografico aveva peggiorato le condizioni di vita del popolo che per il 91 per cento si addensava nel centro della città.

Nel 1885 fu emanata la cosiddetta “legge per Napoli” in cui si rendeva prioritario la ristrutturazione del sistema fognario, l’edificazione di nuovi quartieri, la costruzione di nuove strade e piazze e il risananamento dei “bassi” e dei tuguri.

Con la progettazione e l’esecuzione di questi lavori, si riconosceva, come causa primaria dell’estensione del morbo, la ormai fatiscenza dei vecchi acquedotti che servivano da secoli la città e che si trovavano, spesso, anche ad essere sottoposti, senza idonea protezione, alle acque nere raccolte nei tantissimi pozzi e cavità naturali.

L’ infezione virulenta, dal basso porto si espanse rapidamente nella maggior parte della città grazie anche all’esistenza di un sistema urbano abitativo incontrollato in cui si videro sorgere, nei secoli, centinaia di abitazioni in quelli che una volta erano magazzini portuali (i cosiddetti fondaci, privi di reti fognarie e dove i bisogni igienici venivano espletati all’aperto nello stesso cortile in comune) o locali adibiti ad altri indirizzi commerciali, oltre ad una non idonea areazioni dei quartieri ad alta densità abitativa, e mancanza dei servizi igienici piu elementari, cosi da venirsi a formare dei serbatoi di infezioni altamente esplosive.

Come prima e pronta risposta a questa triste situazione, fu l’abbattimento di diverse costruzioni lungo una linea parallela al mare, da piazza Municipio a piazza Garibaldi, l’inizio dei lavori furono celebrati nel 1889 nell’antica piazza del porto, unico slargo esistente in tutta la zona portuale, in cui si teneva anche un florido e popolare mercato, ma anche sede della monumentale fontana degli incanti, costruita nel XVI secolo, poi sistemata a Posillipo in piazza S. Di Giacomo.

La nuova piazza che ne ebbe a venire, fu chiamata piazza Bovio per l’esistenza, in loco, della casa dove visse e morì il politico, o chiamata popolarmente “della Borsa” per il relativo palazzo degli affari presente dal 1895.

Dalla piazza fu costruita una imponente strada lunga 1300 metri che la collegava alla stazione centrale, denominata in un primo momento “corso Re d’Italia, ed in seguito corso Umberto o, popolarmente, “rettifilo”.

Ma la sua costruzione, cosi come scrisse anche la Serao, non fece altro che coprire interi quartieri popolari sopravvissuti alle spalle delle facciate dei bei palazzi di nuova costruzione, al prezzo della distruzione di una gran mole di edifici storici di notevole qualità artistica.

Nello stesso periodo, nel 1887, un altro intero quartiere fu completamente rivoltato, ubicato tra via Toledo e CastelNuovo, esistente dal  XVI secolo e formato da un groviglio di strade parallele raccordate da brevi vicoli.

Un quartiere che vide nascere, all’interno di esso, taverne e case di malaffare in cui si consumavano delitti di ogni genere, e con edifici a sei piani in situazione igienica così pessima da verificarsi ben nove epidemie di colera nell’arco di mezzo secolo.

Il progetto per il risanamento di tutta la zona, previde, tra altri manufatti, la costruzione di una galleria commerciale a quattro braccia, e la distruzione di tutti gli edifici esistenti, escluso il palazzo Capone a cui fu smussato uno spigolo creando così un portale d’accesso inglobato all’interno della galleria stessa e, nel giro di tre anni, il 1890, questa venne inaugurata.

Ma lavori di cambiamento ci furono anche lontano dal porto e lavori ad ampio respiro si avviarono anche nei pressi del Museo Nazionale.

A via Costantinopoli, già esistente dal 1500, venne abbattuta, nel 1852, la porta omonima, per darle una diretta confluenza sul largo delle Pigne, ora piazza Cavour.

Fu tracciato anche il progetto per una nuova strada parallela a via Costantinopoli, odierna via Bellini, che avrebbe dovuto collegare il museo direttamente a piazza del Gesù, ma il progetto fu modificato poiché il Tommasi, padrone di uno dei palazzi da abbattere per avere lo sbocco su piazza Dante, riuscì ad evitarne la demolizione, e cosi la via rimase racchiusa e non terminata tra palazzo Tommasi a sud e la costruzione di una galleria commerciale al nord datata 1883, la galleria “Principe di Napoli”.

Anche piu giù, nella parte inferiore dell’antico largo delle Pigne, la fine del XIX secolo vide cambiare Napoli radicalmente.

Dove ora è la sobria e lineare via Duomo, fino all’unità d’Italia esisteva vico del pozzo bianco,  che iniziava da via Foria e terminava al decumano superiore riconoscibile in via Anticaglia, da qui fino al Duomo ripartiva sotto il toponimo  vico Gurgite.

Già in età borbonica si progettò l’allargamento del vecchio cardine per creare un diretto collegamento nord-sud tra via Foria e via Marina, ma furono avviati solo il 1861 e finiti il 1868 per il tratto fino al vescovado; il prolungamento sino a via San Biagio dei librai e via Vicaria Vecchia fu compiuto invece nel 1870, mentre per il collegamento con la Marina terminó il 1880, quando fu demolita una navata e ricostruita la facciata della chiesa di San Giorgio Maggiore.

Altri lavori vennero attuati, progettati durante la gestione borbonica ed eseguiti dopo l’Unità, lavori di enorme movimentazioni e sconvolgimenti urbani difficile da raccontare in poche parole e senza precisi riferimenti a sicure fonti storiche.

Parliamo del riempimento del fossato lungo le mura aragonesi tra via Foria e il Bastione del Carmine, con il rifacimento della stazione centrale, la revisione di piazza Garibaldi e del corso omonimo.

Accenniamo alla riurbanizzazione e il completamento della zona del rione Amedeo, con nuove strade di collegamento tra il Corso Vittorio Emanuele e la Riviera di Chiaia.

Un’ampia e ininterrotta fascia di verde divideva inizialmente il nuovo quartiere dal Corso Vittorio Emanuele ex Corso Maria Teresa, ma in seguito anch’essa fu occupata da edifici, sebbene i nuovi proprietari volessero conferire, alla zona, un carattere residenziale riservando una buona quadratura a strade e giardini, e la nuova zona residenziale fu chiamata “Parco Margherita”.

Un po per prevenire altri probabili focolai colerici, un po per rimettere in funzione l’assopita “fabbrica edilizia”, tanti altri lavori vennero eseguiti nelle zone più disparate della città, a volte fatti al fine del miglioramento urbanistico, altre volte eseguiti seguendo una regola del “commercio edilizio”.

La storia di san Gennaro

La chiesa del del Gesù Nuovo, figlia dell’Inquisizione.

Brevissima storia di “via Duomo”

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