La chiesa del del Gesù Nuovo, figlia dell’Inquisizione.

UNA STORIA MALEDETTA

Da “Wikipedia”: L’Inquisizione era l’istituzione ecclesiastica fondata dalla Chiesa cattolica per indagare, mediante un apposito tribunale, i sostenitori di teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica (le cosiddette eresie).

Un esempio eclatante fu il grande Galilei che affermava la tesi del : “eppur si muove”, ecco, per il fatto che egli non ritenesse, contro ogni regola religiosa di allora, la terra al centro dell’universo, per timore che la sua teoria stravolgesse l’equilibrio del mondo di allora, fu inquisito e condannato, ma fu risparmiato della vita venendo accecato per la sua eresia.



In effetti, l’Inquisizione non fu altro che la lotta contro la stregoneria istituita da Sisto IV nel 1478; in Spagna fu richiesta dai sovrani Ferdinando e Isabella, e fu estesa nelle colonie dell’America centro-meridionale e nel Regno di Sicilia, ma non ci riuscirono nel Regno di Napoli per la fiera opposizione popolare.

Cosa c’entra tutto questo con la nascita della suddetta chiesa? Andiamo indietro nel tempo e raccontiamo le cose in ordine.

La Chiesa del Gesù Nuovo, una icona a Napoli che vincola il suo nome ad una intera zona circoscritta, ma che va in conflitto con un’altra grande chiesa dirimpettaia, la chiesa di Santa Chiara.

Due case di Cristo che, da sole, arricchirebbero enormemente il tesoro storico di qualsiasi cittadina al mondo, mentre da noi sovrappongono, in una sorta di “guerra mistica”, le loro secolari storie per appropriarsi, religiosamente, della “periferia” dell’antica Neapolis.

Ma come mai questo ingombrante vicinato e perché l’aggettivo “nuovo” se ha circa mezzo millennio di vita?

Oggi, tutta l’area periferica dell’antica Neapolis, è la più rappresentativa e conosciuta della storia dei Decumani ma, al contrario di quando si possa supporre, la zona menzionata non rientrava nella vecchia città greca e, anzi, ne era distintamente fuori di ben trecento metri. (La porta d’ingresso era sistemata in piazza san Gaetano venuta alla luce nel corso dei lavori dell’omonimo obelisco)

Fin dagli inizi del secondo millennio, tutta la periferia occidentale della città era ricca di orti e giardini che seguivano la dolce pendenza dell’odierna via Toledo, (ex ramificazione del fiume Sebeto), e boschetti che si inerpicavano per il colle abbrutito, da ormai mezzo millennio, dai Quartieri Spagnoli.

Nello spazio di quasi un millennio, in pochi metri quadri, vennero creati pezzi di storia, di arte, di leggende e di racconti che hanno fatto di una piazza uno dei maggiori simboli di un sito dichiarato dall’ Unesco ” patrimonio dell’umanità”.

La prima costruzione di una certa rilevanza, in uno spazio dalla forma ancora non ben definita, agli albori del secondo millennio, fu il monastero di Santa Chiara, voluto da Roberto d’Angiò e sua moglie Sancia di Maiorca, quest’ultima devota alla vita di clausura.

I lavori di costruzione si avviarono nel 1310 per essere terminati nel 1328, aprendo al culto definitivamente nel 1330 seppur la consacrazione a Santa Chiara avverrà solo nel 1340.

Più di un secolo dopo, nel 1470, di fronte al monastero, venne edificato un palazzo nobiliare, all’epoca il più bello della città, dalla originale facciata rivestita a bugne, una particolare forma di rivestimento che, per la sua singolare forma, avrebbe dovuto attirare e quindi far confluire le energie positive verso l’interno del fabbricato ricevendo benefici sia per il manufatto che per i proprietari.


In realtà il risultato raggiunto fu proprio l’opposto, infatti nella sua storia, che seguiremo in questo racconto, furono protagoniste svariate sciagure, come se le bugne, che avrebbero dovuto attirare forze positive, fossero state messe al contrario così da far confluire all’interno del palazzo, solo energie negative.

Nel suo interno vi era un immenso giardino  con una meravigliosa fontana e ricchi decori rinascimentali, esso apparteneva alla famiglia Sanseverino, nota per le sue ricchezze immense e la potenza che rivaleggiava con quella del re Ferrante d’Aragona.

Il palazzo era celebre per la bellezza dei suoi interni, le sale affrescate e lo splendido giardino, oltre ad essere un punto di riferimento per la cultura e gi artisti napoletani.

Per dare più prestigio al loro palazzo, nel 1510 i Sanseverino acquistarono lo spazio antistante l’edificio, già di proprietà di Santa Chiara, quello che ora è piazza del Gesù Nuovo, per lasciarlo inedificato e spianarlo creando quella scenografia di grandeur della famiglia che si sentiva al livello dei regnanti del tempo rivaleggiando con loro senza alcuna esclusione.

Nel 1547, con il propagarsi dell’inquisizione in tutti gli stati cattolici europei, il popolo napoletano si ribellò all’impostazione del regime spagnolo trovando l’appoggio della parte colta e nobile della città, tra questi la famiglia Sanseverino.

La sommossa popolare ebbe risultati positivi e la città di Napoli fu l’unica, del mondo cattolico e al costo di migliaia di morti, a non far istituire il Tribunale inquisitorio spagnolo.

Ma l’allora viceré Don Pedro de Toledo, una volta terminate le infruttuose e sanguinarie repressioni, come reazione all’ostilità della ricca famiglia, ne confisco’ tutti i beni e obbligò, nel 1552, i suoi più potenti rappresentanti, ad andare in esilio imponendo loro di abbandonare i propri possedimenti, compreso il palazzo.

Nel 1584, il sontuoso edificio con i suoi giardini, fu venduto ai gesuiti che lo trasformarono completamente non risparmiando né le splendide sale né i giardini ma conservandone la tipica facciata a bugne, andando incontro anche alla richiesta del popolo napoletano di non demolire la “reggia dei Sanseverino”.

La compagnia dei Gesuiti, padrona ormai di tutta “l’insula monacale”, già aveva dato il via qualche anno prima, nel 1554, in via Paladino nei pressi della statua del Nilo, alla costruzione di una prima basilica denominata del Gesù, ma che poi dovettero riconvertire in “Gesù Vecchio”, per la nuova loro costruzione, dopo meno di mezzo secolo.

I lavori di trasformazione del palazzo Sanseverino in una nuova chiesa, furono finanziati da Isabella Feltria Della Rovere, principessa di Bisignano, ultimo esponente del ramo dei Sanseverino, e la consacrazione avvenne il 1601.

Essa fu intitolata alla Madonna Immacolata, patrona del casato del vicerè don Pedro Girón, come riconoscimento per la sua mediazione nella vendita dell’antico palazzo ai gesuiti, ma fin da subito venne invece chiamata “del Gesù” aggiungendo l’aggettivo “Nuovo”, per distinguerla dall’altra già esistente, divenuta per l’occasione “del Gesù Vecchio”.

Intanto la Compagnia di Gesù aveva acquisito grande reputazione a Napoli come in tutto il mondo, compiendo operazioni politiche e soprattutto economiche su vasta scala e diventando troppo influenti anche negli affari di corte dell’Europa cattolica.

Molti monarchi europei iniziarono ad essere preoccupati dalle interferenze politiche e dal pesante condizionamento economico che i gesuiti apportavano ai loro governi e, pertanto, furono eseguite, in varie nazioni europee, le espulsioni dell’ordine da ogni territorio cattolico.

Dapprima in Portogallo nel 1750, poi in Francia nel 1755 e sul finire degli anni ’50 del XVIII secolo anche nelle Due Sicilie, i gesuiti furono espulsi e i loro beni furono confiscati.

La nuova chiesa passò quindi ai francescani riformati, provenienti dai conventi di Santa Croce e della Trinità di Palazzo che diedero alla chiesa il nome di Trinità Maggiore.

La loro “proprietà”, però, durò poco, infatti, nel 1774 la cupola crollò e, a causa della sua continua precarietà, la chiesa fu abbandonata e rimase chiusa per oltre trent’anni.

Gli anni del 1800 furono devastanti per i Gesuiti, nel 1804 furono riammessi nel regno, ma nuovamente espulsi durante il periodo napoleonico, dal 1806 al 1814.

Rientrati i Borbone, nel 1821 tornarono in possesso della chiesa del Gesù, ma nuovamente allontanati tra il 1848 e il 1860; finalmente il 1900 poterono rientrare definitivamente.

Quando il flusso negativo del bugnato sembrava non avere fine, dopo aver colpito piu volte prima i Sanseverino, quindi i Francescani per un brevissimo periodo, poi i gesuiti, finalmente l’energia negativa sembra svanire.

Durante la seconda guerra mondiale a causa di alcuni attacchi aerei, una bomba cadde proprio sul soffitto della navata centrale e rimase miracolosamente inesplosa.

Oggi la bomba è esposta nei locali attigui alla navata destra della chiesa, dedicati a San Giuseppe Moscati.

Ma a rendere fantastica la chiesa non è solo la sua storia, ma anche il rivestimento della sua facciata esterna, unico al mondo.

Infatti, oltre l’ originalità della sua forma, si pensi che ogni bugna è segnata da una sigla, in un primo momento recepito come simbolo esoterico o firma delle cave di provenienza, ma solo da alcuni anni finalmente si è riusciti a decifrarli.

Essi non sono altro che i 7 simboli dell’alfabeto aramaico, usati per rappresentare altrettante note musicali disposte su un pentagramma di piperno, in pratica il più grande spartito al mondo

Lette in sequenza da destra a sinistra, guardando la chiesa e dal basso verso l’altro possono essere tradotte in note e suonate, la melodia dura quasi tre quarti d’ora.

Una storia maledetta, ma con una fine fantastica, ne valeva la pena costruirla.

 

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