La leggenda della “Pignasecca”

PERCHE, IL TOPONIMO “PIGNASECCA”?

«Dopo cena ho passeggiato per un’ora in via Toledo. Folle di gente, si può a malapena distinguerla da Broadway»…cosi diceva di via Toledo lo scrittore americano Herman Melville.Quale napoletano non conosce e non ha mai passeggiato per quel chilometro e piu di strada ricca da sempre di negozi e palazzi nobiliari, ma…è ovvio che non è stata sempre cosi.

Il mio invito è, come sempre, di fare un lungo viaggio a ritroso nel tempo; “libratevi” in aria è guardate dall’alto l’attuale percorso di via Toledo 500 anni fa, dal museo fino giu ai quartieri spagnoli, siamo agli inizi del XVI secolo.
In quel periodo era la dinastia monarchica spagnola degli aragonesi a comandare il “regno delle due sicilie al di qua del faro”, e gli spagnoli cominciavano ad espandersi nell’intero territorio.

Via Toledo non esisteva ancora, al suo posto vi erano diverse falde acquifere che raccoglievano le acque meteoriche provenienti dal Monte Santo e dal Vomero con il torrente del Cavone che “menava” dall’infrascata (via s. Rosa) ad andare verso mare.
A piazza Dante, allora largo mercatello, si era ancora fuori le mura e alla città si accedeva tramite port’Alba e, un po più giù, dalla Porta dello Spirito Santo.
Da qui, per raggiungere “largo di Palazzo” anch’esso nello stesso periodo nascente, si attraversavano i giardini dei Signori Pignatelli, ricchi di orti e foreste di pini, detti in napoletano “pigne”.
Proprio la presenza di queste pigne hanno segnato in maniera definitiva da più di mezzo millennio il nome della zona.
Sempre luogo di raduno di mercato, soprattutto per la presenza degli orti che sorgevano nella zona, fino a che il viceré di Napoli Don Pedro de Toledo, decise di costruire una via maestra che collegasse il mare al centro storico.
E insieme alla via, si diede inizio all’urbanizzazione dei quartieri spagnoli sul pendio collinare che porta al Vomero, essi sorsero al fine di accogliere le guarnigioni militari spagnole destinate alla repressione di eventuali rivolte della popolazione napoletana, oppure come dimora temporanea per coloro che passavano da Napoli in direzione di altri luoghi di conflitto.
Queste opere provocarono la distruzione degli orti e dei pini, ma una leggenda racconta che le cose andarono ben diversamente.
Il bosco di “Biancomangiare”, cosi chiamato allora parte della tenuta dei nobili di Pignatelli di Monteleone, era a quel tempo teatro di relazioni clandestine.
La privacy di questi incontri amorosi, a cui presero parte anche numerosi ecclesiastici, fu però turbata dall’intervento delle gazze che si intrufolavano negli appartamenti, rubavano gioielli, oggetti di valore e cose bizzarre come capi di abbigliamento intimi, e li nascondevano nei pini.
Pare che uno dei derubati fu proprio un uomo di chiesa, sorpreso da una gazza mentre era in intimità con la sua perpetua. In poco tempo, il pino fu ricoperto di cose di ogni tipo, alcune riconoscibilissime, che portarono allo scoperto le numerose tresche amorose, provocando le chiacchiere degli abitanti della zona.

Derisi e umiliati, i religiosi coinvolti nello scandalo corsero ai ripari con una bolla di scomunica emanata contro le gazze ladre, l’unico mezzo a loro disposizione per poter lavare via l’umiliazione subita. La bolla venne affissa al pino più alto di Biancomangiare.
Tre giorni dopo l’affissione della bolla il pino si seccò misteriosamente, insieme a tutto il resto del bosco, provocando la scomparsa delle gazze. Quella che un tempo era una zona verde e rigogliosa prese così il nome di “Pignasecca”.

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