Petrarca racconta lo tsunami a Napoli del 1343

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In quel periodo mi trovavo a Napoli  per conto del Papa Clemente VI per trattare la liberazione di alcuni prigionieri, i tre fratelli, figli della casata dei Pipini, fatti imprigionare da re Roberto d’Angiò.

Era la seconda volta che venivo nella città di Napoli, dopo quella di due anni prima, infatti nel 1341 per la grande considerazione che avevo del sovrano Roberto d’Angiò, volli fermarmi per tre giorni a Napoli per sottopormi a un giudizio del Re affinché il prestigioso sovrano mi dichiarasse degno della corona poetica in Campidoglio, (ndr riconoscimento oggi paragonabile al Nobel per la Letteratura).

Avevo trovato ospitalità nel convento di San Lorenzo e, attraverso la finestra della stanza a me assegnata guardavo verso occidente, scrutando la luna dietro il monte di San Martino, quella sera la vedevo stranamente ricoperta da tenebre e nubi eppure il Mezzogiorno mi era sempre stato noto per il suo cielo terso.

Già alcuni giorni prima mi accorsi che il cielo di Napoli era nero e fulmini e temporali lasciavano presagire il peggio, in quel momento ricordai le parole di un religioso dell’isola di Ischia  che nei giorni scorsi allertò ogni abitante delle zone limitrofe dell’arrivo di una grandissima sciagura.

All’interno del monastero dove io alloggiavo tutti dormivano già da alcune ore, adesso il cielo era più sereno del solito, ed insolita era anche la temperatura, faceva addirittura caldo benché fosse ormai inverno inoltrato, improvvisamente fui assalito da un timore della morte vicina, un timore cieco, irrazionale, che mi impedì di prendere immediatamente sonno, era la notte tra il 24 e il 25 novembre 1343.

Seppur accompagnato da quel terribile pensiero riuscì ad addormentarmi ma nel prendere sonno sentivo che il tempo andava peggiorando.

Improvvisamente venni svegliato da un rumore accompagnato da un tremore che non solo aprì  la finestra e spense il lume che per abitudine avevo acceso al mio fianco, ma smosse dai fondamenti la camera dove io dimoravo mentre al di fuori sentivo l’urlo di persone terrorizzate.

Intanto si susseguivano i temporali che si alternavano a nubifragi, le donne cominciavano a percorrere le strade della città stringendo i figli al petto, poco dopo mi accorsi di una folla che cominciava  a far ressa davanti alla porta della chiesa per chiedere di entrare.

A quella scena seguì un silenzio spettrale e tutto sembrò essere giunto alla fine, ma un boato fortissimo proveniente dal mare diede invece inizio all’inferno, il buio si impadronì del convento, riuscivo a vedere qualcosa solo nel momento dei fulmini, ci urtavamo l’uno all’altro fin quanto ci gettammo a  terra invocando al altissima voce la misericordia di Dio.

Al fare del giorno, quando le luci vinsero le tenebre, lo scenario che mi arrivò alla vista fu da incubo, si sentivano urla strazianti in direzione del porto, uscii dal convento e montai a cavallo galoppando verso il molo per vedere cosa stesse succedendo.

Arrivato al mare, sulla stessa linea costiera che avevo visto tranquilla il giorno prima, molte case e chiese non esistevano più, un violento maremoto aveva trascinato con sé uomini, animali, edifici, le stesse strutture del porto apparivano gravemente danneggiate, trascinate via con inaudita violenza, tutt’intorno alla spiaggia vedevo un paesaggio di desolazione e di paura.

Chi ancora era rimasto vivo correva verso il mare per aiutare chi era in difficoltà ma il terreno, eroso dall’acqua del mare, cominciava a franare, molti ancora caddero, segui un fuggi fuggi generale verso l’alto, il mare era squassato da onde altissime che si avvicinavano minacciose.

 

 

Vidi giungere centinaia di soldati per aiutare la popolazione mentre si udiva ancora la tempesta scatenarsi sulla città insieme a rombi sotterranei causati dall’acqua che penetrava con forza nelle cavità del sottosuolo di Napoli, ma il mare, dopo essersi ritirato di centinaia di metri, tornava rabbiosamente sulla spiaggia con onde altissime trascinando e annegando i soldati che erano li a dare una mano ai sopravvissuti.

Un’onda alta quaranta metri si era abbattuta sulla costa provocando distruzione e morte nel raggio di duecento chilometri, aveva sommerso galere che avevano attraversato mari in tempesta, aveva distrutto il molo angioino, il borgo dei pescatori, aveva fatto franare anche un’intera ala del Castello dell’Ovo, le fondamenta del vecchio convento di San Lorenzo avevano resistito, le preghiere dei monaci erano state esaudite.

Note:

Le fortificazioni, i cantieri navali, i magazzini e le attrezzature marittime del porto di Napoli, furono sommerse dalla sabbia e dalle acque, la chiesa di San Pietro martire, ancora in costruzione, fu notevolmente danneggiata dal maremoto, così come la chiesa di Piedigrotta, vicinissima alla spiaggia.

 Ancora oggi si possono osservare nella zona del porto due chiese: quella di San Giovanni Battista a mare costruita nel XII secolo e quella di Santa Maria dell’Incoronata del XIV secolo, interrate sotto il livello stradale, queste chiese quando furono colpite dal maremoto vennero coperte dai sedimenti.

I danni furono ingenti lungo tutta la costa campana e oltre Napoli, il “mare  inghiottì Amalfi per una terza parte del suo suolo e anche a Pozzuoli i danni furono considerevoli: il ponte levatoio della città fu distrutto, il pubblico acquedotto interrato e varie case della città rase al suolo.

Oggi, grazie ad una ricerca condotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia si è potuto risalire all’artefice di tale tsunami.

Sarebbe stato, infatti, il crollo del fianco nord-occidentale del vulcano Stromboli a scatenare l’inferno d’acqua sull’allora Regno di Napoli, evento che avrebbe comportato anche lo stesso spopolamento dell’isola, fino ad allora importante crocevia per i commerci navali mediterranei.

Secondo i ricercatori, inoltre, lo tsunami del 1343 sarebbe stato solo uno (il più potente) dei tre provocati dallo Stromboli tra il XIV e il XV secolo.

 

L’isola di Stromboli durante una fase eruttiva

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