La Repubblica Napoletana (sintesi)

I SEI MESI CHE SCONVOLSERO (inutilmente) NAPOLI

Nell’ultima decade del 1700, in Francia andavano radicandosi idee rivoluzionarie antimonarchiche che ben presto invasero l’Europa e portarono fame di innovazione in tutto il continente.

L’esempio dei Giacobini (cosi erano denominati i principali fautori della rivoluzione francese) fu imitato da numerose associazioni politiche in quasi tutti gli stati.

La loro azione contribuì a diffondere gli ideali rivoluzionari in diversi paesi e, in alcuni casi, facilito’ i movimenti insurrezionali a favore del rovesciamento dei regimi preesistenti o favorendo la penetrazione delle armate francesi (come a Napoli) causando, in alcune monarchie, feroci e sanguinose repressioni.

L’Italia fu il territorio europeo in cui l’influenza del giacobinismo francese risultò più forte e ciò fu dovuto soprattutto alla presenza delle armate francesi nella penisola durante la Campagna d’Italia di Bonaparte e negli anni successivi, fino al 1799.

Allo scoppiare della Rivoluzione francese nel 1789, dopo la caduta della monarchia e la morte, per ghigliottina, dei reali di Francia nel 1793, il Re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV e della sua consorte Maria Carolina d’Asburgo-Lorena (tra l’altro sorella di Maria Antonietta, prima vittima “regale” della rivoluzione francese) aderirono alla coalizione antifrancese e cominciarono le prime repressioni interne contro personalità sospettate di “simpatie” giacobine.

Nel 1796 le truppe francesi del giovane “rampante” generale Napoleone Bonaparte,  cominciarono a riportare significativi successi in Italia e sulle armate napoletane, pur forti di circa 30.000 uomini, e su quelle alleate austriache.

Nel 1798, il Regno di Napoli cercò di fermare l’avanzata dei francesi con l’appoggio della flotta inglese comandata dall’ammiraglio Horatio Nelson ma, anche se forte di 70.000 uomini reclutati in poche settimane, nulla poté nella controffensiva dell’armata francese del generale Jean Étienne Championnet che sbaragliò rapidamente l’esercito napoletano costretto alla ritirata.

Re Ferdinando IV tornò precipitosamente a Napoli e si imbarcò di nascosto sul Vanguard dell’ammiraglio Nelson, con tutta la famiglia, in fuga verso Palermo.

Alla notizia della capitolazione del re, il popolo di Napoli e di parte delle province insorse violentemente in suo favore e contro l’esercito francese: è la rivolta dei cosiddetti lazzari, gli unici ad opporre inizialmente una forte resistenza all’avanzata napoleonica.

Ma a favorire gli invasori, in città scesero in campo anche i repubblicani, i giacobini napoletani e i filofrancesi che riuscirono con uno stratagemma a conquistare la fortezza di Castel Sant’Elmo e da cui poi aprirono il fuoco sui lazzari che ostacolavano, con ogni mezzo, l’ingresso della città ai francesi.

Napoletani contro napoletani, fratelli che cannoneggiavano alle spalle altri fratelli per favorire l’ingresso del generale Championnet il quale riuscì, grazie all’appoggio dei loro simpatizzanti napoletani, a schiacciare la resistenza dei sostenitori del re.

Circa 3.000 popolani (per la maggior parte lazzari) antifrancesi furono uccisi negli scontri.

Con l’appoggio dell’esercito francese, viene proclamata la Repubblica Napoletana e dopo alcuni giorni verrà pubblicato il primo numero del Monitore Napoletano, il giornale ufficiale del governo provvisorio, diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, una letterata in passato vicina all’ambiente di corte borbonica ma poi passata dall’altra parte della barricata.

Ma la neonata Repubblica resterà sempre molto lontana dalla conoscenza dei reali bisogni del popolo napoletano, oltre ad avere un’autonomia estremamente limitata dal governo francese, sottoposta di fatto alla dittatura di Championnet e alle difficoltà finanziarie causate principalmente dalle richieste dell’esercito francese costantemente in armi sul suo territorio.

A questo si aggiunse una repressione spietata e sanguinaria contro gli oppositori del regime che, certo, non aiutò a conquistare le simpatie popolari; difatti durante i pochi mesi della repubblica moltissime persone vennero condannate a morte e fucilate dopo sommari processi politici.

Nel frattempo, nel resto delle province, la situazione cominciò a mettersi a favore del re Ferdinando e il cardinale Fabrizio Ruffo, riuscendo a costituire in poco tempo un’armata popolare (l’Esercito della Santa Fede) si impadroni rapidamente della Calabria, della Basilicata e delle Puglie.

Nello stesso periodo, le truppe francesi, in seguito alle sconfitte subite ad opera degli Austro-Russi, dovettero ritirarsi da Napoli e, rimasti senza l’appoggio dell’esercito napoleonico, i repubblicani napoletani restarono soli a dover respingere l’armata sanfedista che giungeva da Sud.

Ma l’armata del cardinale Ruffo, nonostante la strenua resistenza del Forte di Vigliena e l’ultima battaglia sul ponte della Maddalena, riusci a penetrare in città e a restaurare l’autorità borbonica.

Al suo rientro in Napoli, Ferdinando IV ottenne la resa delle diverse centinaia di persone che avevano prestato servizio alla Repubblica napoletana ma, non essendo questa mai riconosciuta neanche dalla Francia, i suoi sostenitori non potevano essere considerati prigionieri di guerra (con tutte le garanzie connesse) e quindi furono giudicati da un tribunale penale come traditori, reato punito con la condanna a morte.

Su circa 8 000 prigionieri, 124 verranno giustiziati, 6 graziati, 222 condannati all’ergastolo, 322 a pene minori, 288 alla deportazione e 67 all’esilio.

Tra i condannati a morte, i nomi più importanti che diedero il loro appoggio alla Repubblica furono Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Domenico Cirillo, Francesco Caracciolo, Ettore Carafa, Gennaro Serra di Cassano, Giustino Fortunato senior, evaso dal carcere, e Vincenzo Cuoco, condannato all’esilio.

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