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Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Sicilia, aveva una visione che andava oltre il suo tempo.
Era il 5 giugno 1224 quando, con un editto emanato da Siracusa, decise di fondare un’università a Napoli, una città che, per la sua posizione strategica e il suo fervore culturale, avrebbe potuto ospitare un centro di sapere destinato a plasmare le future generazioni del regno.
A differenza delle altre città come Bologna e Parigi, dove le università erano nate sotto l’ala della Chiesa, quella di Napoli doveva essere diversa: laica, statale, e sotto il diretto controllo del sovrano.
L’idea di Federico era chiara: creare una scuola che potesse formare i funzionari del regno, un’élite capace di governare con competenza, lontano dalle influenze ecclesiastiche che dominavano la scena dell’epoca.
Il progetto di Federico II non tardò a prendere forma.
Lo Studio napoletano, come venne chiamato, iniziò a crescere, attirando studiosi e studenti da tutto il Regno di Sicilia e oltre.
La sua indipendenza dalla Chiesa le consentì di svilupparsi come un’istituzione unica, dedicata a un sapere che non fosse solo teologico ma anche pratico, orientato verso le esigenze dello Stato.
Tuttavia, l’università non era immune dalle turbolenze politiche che avrebbero attraversato il regno nei secoli successivi.
Nel corso del XIV e XV secolo, il destino dell’università fu strettamente legato alle vicende storiche della città di Napoli.
Le lotte dinastiche, le invasioni straniere e le crisi politiche misero a dura prova la stabilità dello Studio.
Durante il periodo aragonese, nonostante le difficoltà, l’università riuscì a mantenere un ruolo centrale nella formazione della classe dirigente del regno, ma sempre più spesso dovette fare i conti con le pressioni esterne e con la crescente influenza della Chiesa, che cercava di riprendere il controllo sul sapere.
La situazione si complicò ulteriormente nel XVI secolo, con l’arrivo degli Spagnoli.
Il regno di Napoli divenne una provincia dell’Impero spagnolo, e lo Studio napoletano soffrì una lunga fase di declino.
Le condizioni economiche difficili, le epidemie, le carestie e i conflitti militari resero la vita accademica estremamente precaria.
Le aule si svuotarono, e molti docenti lasciarono l’insegnamento per cercare fortuna altrove.
Solo con il vicereame di Pedro Fernández de Castro, conte di Lemos, e il suo tentativo di riforma culturale all’inizio del XVII secolo, si cominciò a intravedere una timida ripresa.
Nel XVII secolo, l’università attraversò un periodo di incertezza e cambiamento.
La Controriforma cattolica, che portò a un rafforzamento dell’influenza ecclesiastica, ebbe ripercussioni anche sullo Studio napoletano.
Nonostante i tentativi di riforma e di modernizzazione, l’università si trovò sempre più schiacciata tra le esigenze della monarchia spagnola e le pressioni della Chiesa.
Tuttavia, il XVIII secolo segnò un nuovo inizio.
Con l’avvento dei Borbone e in particolare sotto il regno di Carlo di Borbone, l’università ricevette un nuovo impulso.
Fu un periodo di grandi riforme, con l’introduzione di nuove cattedre e l’ampliamento dei programmi di studio, in particolare nelle scienze e nell’economia.
Nel 1735, con Carlo di Borbone, l’università ricevette un sostegno senza precedenti.
Venne potenziata la formazione scientifica, e nacque la prima cattedra di economia politica in Europa, affidata ad Antonio Genovesi.
L’istituzione iniziò a produrre non solo funzionari statali, ma anche pensatori e intellettuali che avrebbero contribuito al dibattito culturale europeo.
Tuttavia, con l’arrivo delle guerre napoleoniche, lo Studio napoletano si trovò di nuovo a dover fronteggiare un periodo di crisi.
Nel 1799, durante i moti rivoluzionari, molti studiosi furono costretti all’esilio, e l’università visse un momento di nuova grande difficoltà.
Con l’avvento di Murat nel 1808, si tentò di riorganizzare l’istituzione, riaprendo le porte a scienziati e intellettuali che avevano subito persecuzioni durante le turbolenze rivoluzionarie.
Tuttavia, la Restaurazione borbonica del 1815 riportò l’università sotto un severo controllo ecclesiastico.
Nel XIX secolo, con la nascita del Regno d’Italia, l’università subì ancora una serie di riforme significative.
Sotto la guida di Francesco De Sanctis, uno dei principali intellettuali dell’epoca, l’università fu riorganizzata per rispondere alle esigenze di un’Italia appena unificata.
De Sanctis era deciso a fare dell’università di Napoli un punto di riferimento per la cultura italiana ed europea.
Le riforme ministeriali portarono a un’espansione dei corsi di studio e all’inclusione di nuove discipline, trasformando l’università in un’istituzione moderna, capace di affrontare le sfide del nuovo secolo.
Con l’avvento del fascismo, l’università di Napoli, come molte altre istituzioni italiane, dovette fare i conti con la dittatura.
Durante questo periodo, l’università fu coinvolta nella propaganda del regime, e molti professori e studenti subirono le conseguenze delle leggi razziali e della repressione politica.
Nonostante tutto, l’università riuscì a mantenere viva la sua tradizione accademica, e molti intellettuali napoletani contribuirono in modo significativo alla cultura italiana del XX secolo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’università dovette affrontare la ricostruzione in un’Italia devastata dal conflitto.
L’edificio centrale di Corso Umberto, gravemente danneggiato dai bombardamenti, fu ricostruito e ampliato.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, l’università conobbe una nuova fase di espansione, con l’apertura di nuove facoltà e l’introduzione di corsi innovativi, che la resero uno dei principali poli accademici del sud Italia.
Negli anni Settanta, con la creazione di nuove università nel Mezzogiorno, l’università di Napoli perse il suo monopolio nella regione, ma ciò non le impedì di continuare a crescere e a innovare.
L’università mantenne il suo ruolo di faro culturale, attirando sempre più studenti da tutta Italia e dall’estero.
La fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo hanno visto l’università consolidarsi come una delle più grandi e prestigiose d’Italia, con oltre 100.000 studenti iscritti e un’offerta formativa che spazia dalle scienze umanistiche a quelle tecnologiche.
Oggi, l’Università degli Studi di Napoli Federico II è il simbolo di una storia lunga quasi otto secoli, una storia fatta di successi e difficoltà, di rivoluzioni e restaurazioni, ma sempre all’insegna della conoscenza e dell’innovazione.
È un’istituzione che ha saputo adattarsi ai cambiamenti dei tempi, mantenendo fede alla visione di quel lontano imperatore svevo, che aveva sognato una scuola per il suo regno, una scuola che avrebbe forgiato le menti dei suoi sudditi e plasmato il futuro della sua terra.
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