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In un’epoca in cui l’arte e la politica si intrecciavano in modo indissolubile, Federico I, sovrano del Regno di Napoli, si distinse per la sua munificenza nei confronti dei grandi uomini del suo tempo.
Il 26 giugno 1497 ascese al trono e non passò molto tempo prima che mostrasse il suo apprezzamento per l’illustre poeta Jacopo Sannazaro, concedendogli una pensione di seicento ducati e un terreno nella pittoresca zona di Mergellina, appartenuto in precedenza ai monaci benedettini del convento dei Santi Severino e Sossio.
Questa concessione non era solo un atto di mecenatismo, ma anche un riconoscimento del valore culturale di Sannazaro, il cui genio letterario lo aveva già consacrato come uno dei maggiori poeti del Rinascimento italiano.
Su quel terreno, dove forse già esisteva una villa, Sannazaro non si limitò a godere della vista del mare e del profumo degli aranci in fiore: concepì infatti un progetto ambizioso, aggiungendo una torre alla dimora e avviando la costruzione di due chiese sovrapposte.
I lavori iniziarono nel 1504, quando il poeta decise di trasferirsi definitivamente a Mergellina, cercando nella quiete di quel luogo l’ispirazione per le sue opere.
La chiesa inferiore, interamente scavata nel tufo, fu completata nel 1525.
Questa era dedicata a Santa Maria del Parto, in onore dell’opera di Sannazaro De Partu Virginis” e divenne presto un luogo di preghiera prediletto dalle donne che desideravano avere un figlio.
Ogni 25 del mese, una silenziosa processione di donne speranzose si riuniva lì per chiedere la benedizione della Vergine, mentre le pareti di tufo riecheggiavano i sussurri delle loro preghiere.
Dopo la morte di Sannazaro, tuttavia, la chiesa cadde in rovina, perdendo gradualmente il suo splendore.
La sua bellezza originale, testimoniata dai pochi affreschi rimasti e dallo stemma del suo fondatore, fu relegata alla polvere del passato, con il tempo che ne cancellò quasi ogni traccia.
La chiesa superiore, nata come cappella privata, fu invece dedicata a San Nazario.
Le sue vicende furono altrettanto tormentate: incompiuta a causa delle epidemie e delle turbolenze politiche che funestavano Napoli, fu saccheggiata nel 1528 dalle truppe di Filiberto di Chalon durante l’assedio francese.
La torre, simbolo della residenza del poeta, fu distrutta, e il sogno architettonico di Sannazaro sembrò destinato a svanire nel nulla.
In un gesto di generosità e forse di rassegnazione, Sannazaro donò nel 1529 l’intero complesso ai frati dei Servi di Maria, garantendo loro un contributo annuale di seicento ducati per completare la chiesa e costruire il proprio monumento funebre al suo interno.
La chiesa fu ampliata e abbellita diventando un luogo di preghiera estivo per la corte vicereale.
Fu in questo periodo che la chiesa assunse il nome definitivo di Santa Maria del Parto.
Gli anni successivi furono altrettanto tumultuosi.
Durante il decennio francese, con la soppressione degli ordini monastici decretata da Napoleone Bonaparte, anche i Servi di Maria furono allontanati, e la chiesa passò in mani private.
La facciata fu modificata per far spazio a nuove abitazioni, e uno di questi edifici fu acquistato dal celebre impresario teatrale Domenico Barbaja, che ospitò nientemeno che Gioachino Rossini.
Nel 1812, la chiesa fu affidata alla confraternita del Santissimo Rosario, diventando parrocchia autonoma nel 1935.
Solo nel 1971 ritornò sotto la cura dei Servi di Maria, subendo nel frattempo esclusivamente interventi di restauro, mentre i suoi segreti e il suo fascino rimanevano celati agli occhi della città che la circondava.
Oggi, raggiungere la chiesa significa percorrere una serie di tre rampe di strette scale che conducono a un piazzale, un tempo destinato a essere un giardino adornato da pioppi, ora trasformato nel tetto di un edificio sottostante.
Un luogo che racconta di un tempo in cui poesia e devozione si fondevano in un’unica anima, quella di Jacopo Sannazaro, che, tra le mura di Santa Maria del Parto, continua a vivere nei sogni di chi cerca, nella fede, la speranza di una nuova vita.
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