Perché fu dedicata una guglia a san Gennaro?

L’eruzione del 1631 fu la più violenta e distruttiva della storia del Vesuvio dell’ultimo millennio, tanto forte che provocò la parziale distruzione del cono vesuviano, con il conseguente abbassamento del vulcano di oltre 450 metri.

La sua attività iniziò alle 7 del mattino del 16 dicembre, con la formazione di una colonna eruttiva alta circa 15 chilometri, da cui cominciarono a ricadere pomici e ceneri nell’area a est del Vesuvio, precisamente verso Boscoreale.

Alle 10 del mattino del 17 dicembre, dal cratere centrale si generarono flussi di un miscuglio micidiale di aria e gas incandescenti che, scorrendo a grande velocità lungo i fianchi occidentale e meridionale del vulcano, distrussero tutto ciò che incontrarono sul loro cammino.

La lava e le colate proseguirono lungo il mare in direzione di Napoli; Portici, Resina (l’antica Ercolano), Torre del Greco e Torre Annunziata furono semidistrutte, la frazione Pietra Bianca (Leucopetra) fu ridenominata, da allora, Pietrarsa.

Le vittime accertate in quell’area furono tremila; molti di più furono gli animali (soprattutto bovini) uccisi dal torrente di lava.

Il conte di Monterrey, viceré di Napoli dal gennaio di quell’anno, inviò alcune navi a raccogliere i sopravvissuti di Torre del Greco e Torre Annunziata.

Dopo qualche mese, profondamente turbato dall’evento, fece apporre a Portici una lapide che esortava i posteri a non dimenticare la natura della montagna, e a riconoscere prontamente i precursori di una eruzione vulcanica.

L’eruzione durò circa tre giorni, suscitando un enorme panico in tutta la popolazione. Vi furono per le strade di Napoli confessioni pubbliche di peccati, accompagnate da straordinarie manifestazioni di penitenza.

Si organizzarono processioni con la statua e il sangue di San Gennaro, affinché il Patrono placasse quella collera divina di cui l’esplosione del Vesuvio sembrava l’indubitabile segno.

Al pericolo che i materiali vulcanici potessero raggiungere Napoli, i cittadini si affidarono all’unica forza che potesse contrastare tale distruttivita, la fede incrollabile in san Gennaro, il protettore della città che mai li aveva traditi.

Nel corso del secondo giorno dell’eruzione (17 dicembre), l’arcivescovo ordinò una nuova processione di intercessione con l’esposizione delle reliquie di san Gennaro e l’eruzione finalmente cominciò a scemare proprio quando la statua del Santo, sistemata sul ponte della Maddalena, allora unico passaggio tra San Giovanni a Teduccio e Napoli, fu rivolta in direzione del vulcano.

Come ringraziamento del prodigio avvenuto, la Deputazione del Tesoro, l’organo rappresentativo del popolo napoletano che oggi come allora tutela la Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, commissionò la costruzione di un monumento dedicato a lui dedicato.

Tale monumento sarebbe stato eretto nella piazzetta antecedente l’accesso laterale alla Chiesa del Duomo di Napoli, in piazza Riario Sforza, lungo la parte bassa di via Tribunali.

Il monumento consisteva in una colonna alta 24 metri (guglia) ad imitazione di quelle egizie, istallate in prossimità delle basiliche, in modo da essere facilmente avvistate dai pellegrini.

La forma della guglia ricorda le costruzioni di legno e cartapesta che da secoli venivano portate in processione in diverse parti della Campania, come ancora oggi accade a Nola durante la Festa dei Gigli in omaggio di san Paolino.

La realizzazione dell’opera fu iniziata nel 1637 ma fu interrotta più volte poiche il XVII secolo fu un secolo particolarmente turbolento per la città, tra l’eruzione, la rivolta di Masaniello, un’epidemia di peste, su riuscì ad ultimarla solo nel 1660.

Lungo la colonna vi sono raffigurati quattro putti che recano, in marmo o in bronzo, gli attributi del santo: le ampolle, il bastone pastorale, la mitra, la stola, il libro, la penna.

Sulla sommità dell’opera c’è la statua di bronzo di San Gennaro, statua che era destinata alla Cappella del Tesoro; e lì rimase dal 1621 fino a quando nel 1645 fu sostituita e infine collocata, dopo altri quindici anni, in cima alla guglia.

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