Origini e crescita di Napoli – Una sintesi

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Sono diverse le leggende che descrivono le origini della città di Napoli, diverse l’una dall’altra ma ugualmente romantiche ed affascinanti, solo una circostanza le accomuna, l’area in cui la città prende vita, l’isola di Megaride.

Così la descrive Matilde Serao:

Là, dove il mare del Chiatamone è più tempestoso, spumando contro le nere roccie che sono le inattaccabili fondamenta del Castello dell’Ovo, dove lo sguardo malinconico del pensatore scuopre un paesaggio triste che gli fa gelare il cuore, era altre volte, nel tempo dei tempi, cento anni almeno prima la nascita del Cristo Redentore, una isola larga e fiorita che veniva chiamata Megaride o Megara che significa grande nell’idioma di Grecia. Quel pezzo di terra s’era staccato dalla riva di Platamonia, ma non s’era allontanato di molto: e quasi che il fermento primaverile passasse dalla collina all’isola, per le onde del mare, come la bella stagione coronava di rose e di fiorranci il colle, così l’isola fioriva tutta in mezzo al mare come un gigantesco gruppo di fiori che la natura vi facesse sorgere, come un altare elevato a Flora, la olezzante dea. Nelle notti estive dall’isola partivano lievi concenti e sotto il raggio della luna pareva che le ninfe marine, ombre leggiere, vi danzassero una danza sacra ed inebbriante; onde il viatore della riva, colpito dal rispetto alla divinità, torceva gli occhi allontanandosi, e le coppie di amanti cui era bello errare abbracciati sulla spiaggia davano un saluto all’isola e chinavano lo sguardo per non turbare la sacra danza. Certo l’isola doveva essere abitata, ne’ suoi cespugli verdi, nei suoi alberi, nei suoi prati, nei suoi canneti, dalle Nereidi e dalle Driadi: altrimenti non sarebbe stata così gaia sotto il sole, così celestiale sotto il raggio lunare, sempre colorita, sempre serena, sempre profumata. Era divina, poiché gli dei l’abitavano.

Partenope

Le leggende sono racconti antichi mai interamente inventati ma contenenti sempre una parte di verità che viene trasformata in fantasia.

Nel caso della antica Napoli, esse mescolano, nella narrazione, il reale al meraviglioso ed avendo come denominatore comune l’isolotto di Megaride, non si riesce quasi più a distinguere l’una dalle altre.

Non sono uno studioso di storia ma solo uno che della storia di Napoli ne fa la sua passione, dalle numerose notizie lette ho un’idea di come sarebbe potuta nascere la città e vorrei esporla a voi, magari non sarà la pura verità ma è bello crederci.

 

Nei tempi che interessano le nostre origini al centro del mondo civile di allora vi era la civiltà greca e in tanti erano i marinai che intraprendevano lunghi viaggi per fondare nuove colonie e acquisire nuovi mercati.

Ora immaginate il nostro Mediterraneo con poche grandi città e numerosi villaggi costruiti sulle sue rive e ancora con tante coste ricche e inesplorate mete di lunghi e pericolosi viaggi verso l’ignoto.

Il sud del mare era ormai parzialmente noto, ma molti erano i marinai che si dirigevano verso il misterioso nord affrontando viaggi che richiedevano scorte di viveri e altro per poter proseguire.

Le scorte finivano e bisognava trovare lungo il percorso un “attracco amico”, un piccolo porto di ristoro dove poter acquistare tutto ciò di cui si aveva bisogno per affrontare ancora il mare aperto.

Quale miglior scalo della nostra ridente “Megaride”, un’isoletta nei pressi della costa, accogliente, dal clima temperato e a metà strada dal resto del viaggio dove poter riposare, rinfrancarsi e raccogliere informazioni.

Paragoniamolo ad un “Motel” autostradale, a sostare erano in tanti e provenienti da più direzioni, si fermavano, acquistavano, scambiavano, fin quando da mercato stabile si formò sull’isolotto un piccolo villaggio mercatale abitato probabilmente da gente autoctona a cui si aggiungevano continuamente numerosi altri viaggiatori incantati dalla temperatura mite e dalla bellezza del posto.

Si dice che detto villaggio avesse il nome di “Parthenopoe”, dal nome della mitica sirena che venne a morire sulle sponde dell’isolotto, siamo a circa 900 anni prima dell’avvento di Cristo.

Monte Echia – Pizzofalcone

Il villaggio, che non aveva mura di cinta proprio perchè aperta a tutti, ingrandiva sempre di più e l’isolotto diventò ormai troppo piccolo per accogliere chiunque ci si insediasse, cosi si decise di espandersi sulla terraferma e creare una piccola cittadina, ma per essere al riparo da incursioni pirate o comunque nemiche, scelsero il promontorio di “Pizzofalcone” da dove tenere tutto il golfo visivamente sotto controllo e nello stesso momento potersi difendere dall’alto ad un eventuale invasione, nasceva la la mitica “Palepolis”, la vecchia città, e passarono altri 300 anni.

Negli ultimi secoli di storia Napoli era una delle città più popolose d’europa, ma neanche a quei tempi sembra scherzasse, pochi secoli e dovette ancora trasferirsi, un pò per la densità abitativa, um pò per ragioni politiche/sociali, in tanti scesero da Pizzofalcone per fondare una nuova definitiva città, Neapolis.

La sua area fu definita alla foce di uno dei rami del grande mitico fiume “Sebèto” le cui fresche e rabbiose acque avrebbero dissetato gli abitanti di una città che andava ormai crescendo in modo esponenziale.

Questa volta si volle proteggere la città da alte mura inespugnabili, lo spigolo superiore di questa cinta era situato su “Caponapoli”, la collinetta di fronte il Museo Archeologico, le mura scendevano verso sud lungo il canalone raccoglitore di acque provenienti dalle colline circostanti ora denominato “via Foria” intersecando la porta San Gennaro.

Pochi metri ancora più giù e svoltavano lungo via Duomo, altro torrente che portava a scaricare le acque al mare, fino ad arrivare poco pima del Corso Umberto dove il mare infrangeva le sue onde su un alto costone.

Arrivato alla costa, il muro di difesa proseguiva virando a destra fino alla futura via Mezzocannone dove risalendo sul piccolo altipiano giungeva a piazza San Domenico, estremo settentrionale della città di Neapolis.

Dalla piazza partiva l’ultimo tratto semirettilineo diretto verso San Pietro a Majella, via Costantinopoli con alcuni resti e testimonianze negli scavi di Piazza Bellini, e quindi continuavano fino a ricollegarsi con Caponapoli.

Neapolis vista ipoteticamente da Pizzofalcone con a destra le mura lungo il mare li dove ora vi è il corso Umberto, visibili i tre decumani che attraversano per intera la città, a sinistra il canalone di “Via Foria” che raccoglie le acque delle colline circostanti

Questo descritto era il primo muro in assoluto che circoscriveva la città, ne seguirono tanti altri ma l’unica grande e attuale testimonianza ce la lascia solo quello aragonese con le due porte “Capuana” e “Nolana” e alcuni tratti di mura.

L’ultimo muro che fù costruito non era per difendere la città da eventi bellici ma per delimitare un area in cui si doveva pagare una tassa per il commercio, questo era il “Muro daziario”.

 

“Capodichino – Piazza Capodichino” (oggi piazza G. Di Vittorio), con il tempietto della dogana. L’edificio rotondo in stile neoclassico (progettato dai fratelli Stefano e Luigi Gasse), posizionato al centro della piazza, fu abbattuto nel 1927 in occasione dei lavori di riposizionamento delle rotaie delle Tranvie Provinciali.

Grossolanamente, partendo da quello più grande e famoso del quadrivio di secondigliano, il suo tragitto andava verso Miano, Capodimonte, Camaldoli, quindi scendeva verso il mare costeggiandolo, idealmente perchè esistevano solo piccole garitte, fino a san Giovanni a Teduccio ad altezza dei Granili, per poi risalire fino a congiungersi alla porta di Secondigliano.

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