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Napoli, nel settembre del 1943, era una città sull’orlo del baratro.
La guerra aveva corroso l’anima del popolo partenopeo, riducendo la vita quotidiana a un susseguirsi di privazioni e paure.
Eppure, sotto quella superficie logorata, il fuoco dell’orgoglio e della libertà bruciava ancora, pronto a esplodere.
Era un’energia latente, che attraversava le strade, i vicoli, e le piazze come un’onda invisibile.
Il cielo di Napoli si era tinto di grigio, ma non era solo la pioggia che minacciava di cadere.
Nell’aria, il peso di un destino incerto si faceva sempre più opprimente.
Le notizie dei massacri compiuti dalle truppe tedesche riecheggiavano nelle case come presagi di morte.
Eppure, in quell’atmosfera cupa, qualcosa stava per risvegliarsi.
Dal Vomero al centro storico, fino ai quartieri più periferici, i napoletani iniziarono a uscire dalle loro case, armati di quello che potevano: vecchi fucili, sassi, persino pentole.
Ogni angolo della città sembrava risvegliarsi da un lungo torpore, e un grido di battaglia si levò alto, scuotendo le fondamenta stesse della città.
I tedeschi, pur ben armati e addestrati, non erano preparati a fronteggiare una tale furia.
Dopo quattro giorni di scontri feroci, la loro ritirata segnò la liberazione di Napoli.
In via Duca Ferrante della Marra, nel quartiere Materdei, si consumò uno degli atti più eroici di quei giorni.
Carmine Muselli, un giovane tenente di ventotto anni, si ergeva a difesa della sua casa e della sua famiglia.
Le pallottole tedesche lo colpirono a morte, ma il suo sacrificio non fu vano.
La sua memoria sarebbe stata onorata per anni a venire, anche se per troppo tempo una semplice lapide su un muro fu l’unico segno del suo coraggio.
Oggi, per non dimenticare, Materdei dedica un largo ad uno dei suoi figli più eroici e proprio al centro del quartiere napoletano a due passi dalla stazione metropolitana, nasce “Largo Carmine Muselli”.