L’attentato di Calata san Marco

Vi è una stradina, ultimo vicolo a destra prima di arrivare in piazza Municipio ora credo area pedonale, che collega via Depretis con via Medina dove era collocata fino a circa un secolo fa la fontana del Nettuno o di Medina.

A pochi passi di distanza vi sono la caserma della Guardia di Finanza Zanzur, i palazi del Comune, della Prefettura e della Questura, oltre la Posta centrale un pò più distante.

Questa stradina lunga all’incirca 100 metri è denominata “Calata san Marco” e al centro della sua lunghezza vi è un piccolo slargo.

In questa piccola piazzetta erano ubicati dei locali al piano terra che comprendevano anche degli interrati, in cui dai primi anni del dopoguerra vi trovò sistemazione un circolo ricreativo statunitense (USO – United Service Organizations), questo finì tragicamente la sua esistenza nel 1988.

In quell’anno del 14 aprile alle ore 19.49, mentre tutta la zona era piena di movimento, folla di gente che camminava a piedi, lunghe file di macchine che attraversavano il centro per il rientro a casa, fu oggetto di un attacco terroristico, una Ford Fiesta imbottita di tritolo esplose creando uno scenario apocalittico.

La deflagrazione fu avvertita lungo tutta la fascia costiera di Napoli e in tutta la zona bassa della città, da San Giovanni a Teduccio a Mergellina e a Posillipo.

Automobili in fiamme, una colonna di fuoco che arrivava ai piani alti, vetri infranti, portoni divelti, brandelli di carne, le urla dei feriti, dolore e sangue, a terra rimasero inanime cinque persone, e altre 15 restarono ferite.

La scelta dell’attentato ricadde in quel giorno per la maggior affluenza di persone poichè nel circolo militare americano si trovavano dai 60 ai 70 marinai americani riunitisi per festeggiare il comandante del cacciatorpediniere USS PAUL attraccato proprio il giorno prima nel porto di Napoli.

A causare l’attentato fu un membro dell’Armata Rossa Giapponese (ARG) che volle vendicare nel secondo anniversario del bombardamento statunitense della Libia del 1986, deciso come rappresaglia all’attentato a una discoteca di Berlino frequentata da militari Usa.

Era un giovedi, lo ricordo perfettamente perchè lavoravo a 20 metri dal luogo ed ero andato via da qualche minuto.

Fortunatamente” le vittime furono “solo” quattro, e purtroppo civili italiani, il venditore ambulante Antonio Gaezza che vendeva collanine di vetro su una bancarella ad appannaggio degli americani, aveva 62 anni e una mamma centenaria da accudire, i passanti Assunta Capuano, Guido Scocozza e Maurizio Perrone, e una portoricana militare statunitense in servizio presso la U.S. Navy di stanza a Napoli, la trentunenne Angela Simone Santos.

Tra i feriti ci furono anche quattro marinai americani e alcuni nordafricani mentre molti altri sfuggirono all’attentato in quanto al momento dell’esplosione si trovavano nei seminterrati del circolo a festeggiare.

L’attentato fu rivendicato da due gruppi arabi denominati “gli “Imperialisti americani devono morire due anni dopo il loro barbaro attacco contro lo stato arabo libico” , ed in seguito la polizia identificò Junzō Okudaira come il principale sospettato, un membro dell’Armata Rossa Giapponese (ARG) di estrema sinistra con collegamenti a gruppi in Libano e già ricercato in Italia per un razzo e un attentato dinamitardo contro le ambasciate americana e britannica di Roma del 1987, dove nessuno fortunatamente rimase ferito.

Alcuni giorni prima dell’attentato si pensava che Kikumura pianificasse un attentato dinamitardo in un centro della Marina statunitense a New York per rappresaglia all’attentato della Libia del 1986, e che fosse simultaneo all’attentato di Napoli.

Nonostante la sua condanna per omicidio nel 1993, non fu mai catturato ed è ancora attiva la ricompensa fino a cinque milioni di dollari per chi procurasse informazioni che portino ad assicurare alla giustizia l’esecutore del crudele attentato.

 

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