La satira di un gigante contro i poteri di Palazzo

Ci fu un tempo in cui Largo di Palazzo, l’attuale piazza del Plebiscito, era sorvegliata da un gigante proveniente dalla rube euboica di Cuma, la prima città della Magna Grecia e anello di congiunzione tra Napoli e l’Ellade.

A molti non “storici” questo termine “gigante” sembrerà strano, quale creatura mitologica poteva mai essere questo gigante “partenopeo”, da dedicargli una fontana monumentale, una delle più belle strade di Napoli e addirittura metterlo a guardia di un palazzo reale?

Nessun vero gigante, nessuna creatura mitologica, ma un Dio, dissacrato e abbandonato ma pur sempre il padre di tutti gli dei.

Il gigante in questione era niente di meno che Giove, di cui fu ritrovato solo il busto di una sua statua, durante alcuni scavi effettuati a Cuma nel 1668 e risalente a circa 2000 anni prima.

La scoperta era sensazionale in un periodo in cui ogni reperto era oro e veniva riutilizzato per dal lustro al potere, e infatti l’ allora viceré Spagnolo don Pedro Antonio D’Aragona pensò bene di riportare il rinvenimento a vita aggiungendogli braccia e gambe per poi posizionarlo su una base di marmo mettendolo a guardia del palazzo vicereale di largo Palazzo (da qui il nome di gigante di palazzo) ma, paradossalmente, per circa 150 anni, esso fu una spina nel fianco di tutti i regnanti del periodo.

 

Lo stesso riferimento fu dato anche alla maestosa fontana dell’Immacolatella (oggigiorno collocata in via Partenope) che all’epoca si erigeva proprio accanto all’opera, e che per questo fu chiamata fontana del gigante.

Alle spalle del busto vi era una via ora dedicata a Cesario Console, un condottiero figlio di Sergio I duca di Napoli, che nell’849 batté i Saraceni, ma è stata per secoli anch’essa chiamata dal popolo, e non solo, Salita (o discesa) del Gigante.

Ma il buon intento del vicere fu mal gestito dal popolo napoletano e divenne invece, ben presto, lo strumento con il quale il popolo partenopeo manifestava il proprio dissenso contro i regnanti.

Infatti esso iniziò ad utilizzare la statua come “bacheca” dove affiggere piccoli “post” per fare satira e leggere componimenti aventi lo scopo di attaccare e schernire il potere politico, possiamo definire cosi la statua come il primo spazio “social” al mondo.

Il gigante divenne cosi ardimentoso e pungente che lo stesso viceré don Antonio, decise di porre una sentinella a guardia della statua così da impedire a chiunque di soffermarsi ad affiggere e leggere versi.

Ma il popolo napoletano si sa, più è vietato e rischioso, più è attratto e spregiudicato e, sfidando la sorveglianza e non curante del rischio, riusciva puntualmente ad apporre sul gigante componimenti, critiche ed offese.

Particolare rilievo ebbe la vicenda che vide come protagonista il viceré Luis De la Cerda, Duca di Medinaceli. Quest’ultimo per combattere l’impudenza partenopea annunciò la sua intenzione di offrire 8.000 scudi a chiunque avesse fornito notizie utili all’arresto dei rivoltosi. Come risposta a questa iniziativa, i napoletani, il giorno seguente, fecero trovare sul gigante un foglio con il quale venivano offerti ben 80.000 scudi a chi avesse portato la testa del viceré in piazza Mercato.

Per quanto le autorità si sforzassero di frenare il fenomeno, il Gigante continuò ad essere per molto tempo la satira del popolo napoletano.

Purtroppo però nel 1806, Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e fratello di Napoleone, non sopportando l’irriverenza partenopea e le critiche che, tramite la statua, il popolo gli muoveva contro, decise di risolvere il problema drasticamente, ordinando di rimuovere la statua dalla piazza per farla riporre nelle scuderie di Palazzo Reale per poi essere definitivamente abbandonata al Real Museo Borbonico di Napoli, attuale Museo Archeologico Nazionale, tuttora ivi dimorante immemori della sua provenienza, dei suoi piu di 2000 anni di vita, e della sua gloriosa e storica lotta alla politica di governo.

Ma come a far vedere che il napoletano non si arrende mai, con un colpo di coda, appresa la notizia, prima che questa fosse smontata per il trasposto, qualcuno ebbe il tempo di lasciare un ultimo significativo messaggio sulla statua, . Quelle che possiamo definire come le ultime parole del gigante, esso decretò:

“Lascio la testa al Consiglio di Stato, le braccia ai ministri, lo stomaco ai ciambellani, le gambe ai generali e tutto il resto a re Giuseppe”

Facendo intendere chiaramente quale fosse la parte riservata al sovrano…

…e chissà che re Giuseppe non abbandonò il trono napoletano a favore del cognato Gioacchino per scappare lontano dall’ indomabile e irriverente popolo partenopeo…

Ci fu un tempo in cui Largo di Palazzo, l’attuale piazza del Plebiscito, era sorvegliata da un gigante proveniente dalla rube euboica di Cuma, la prima città della Magna Grecia e anello di congiunzione tra Napoli e l’Ellade.

A molti non “storici” questo termine “gigante” sembrerà strano, quale creatura mitologica poteva mai essere questo gigante “partenopeo”, da dedicargli una fontana monumentale, una delle più belle strade di Napoli e addirittura metterlo a guardia di un palazzo reale?

Nessun vero gigante, nessuna creatura mitologica, ma un Dio, dissacrato e abbandonato ma pur sempre il padre di tutti gli dei.

Il gigante in questione era niente di meno che Giove, di cui fu ritrovato solo il busto di una sua statua, durante alcuni scavi effettuati a Cuma nel 1668 e risalente a circa 2000 anni prima.

La scoperta era sensazionale in un periodo in cui ogni reperto era oro e veniva riutilizzato per dal lustro al potere, e infatti l’ allora viceré Spagnolo don Pedro Antonio D’Aragona pensò bene di riportare il rinvenimento a vita aggiungendogli braccia e gambe per poi posizionarlo su una base di marmo mettendolo a guardia del palazzo vicereale di largo Palazzo (da qui il nome di gigante di palazzo) ma, paradossalmente, per circa 150 anni, esso fu una spina nel fianco di tutti i regnanti del periodo.

Lo stesso riferimento fu dato anche alla maestosa fontana dell’Immacolatella (oggigiorno collocata in via Partenope) che all’epoca si erigeva proprio accanto all’opera, e che per questo fu chiamata fontana del gigante.

Alle spalle del busto vi era una via ora dedicata a Cesario Console, un condottiero figlio di Sergio I duca di Napoli, che nell’849 batté i Saraceni, ma è stata per secoli anch’essa chiamata dal popolo, e non solo, Salita (o discesa) del Gigante.

Ma il buon intento del vicere fu mal gestito dal popolo napoletano e divenne invece, ben presto, lo strumento con il quale il popolo partenopeo manifestava il proprio dissenso contro i regnanti. Infatti esso iniziò ad utilizzare la statua come “bacheca” dove affiggere piccoli “post” per fare satira e leggere componimenti aventi lo scopo di attaccare e schernire il potere politico, possiamo definire cosi la statua come il primo spazio “social” al mondo.

Il gigante divenne cosi ardimentoso e pungente che lo stesso viceré don Antonio, decise di porre una sentinella a guardia della statua così da impedire a chiunque di soffermarsi ad affiggere e leggere versi.

Ma il popolo napoletano si sa, più è vietato e rischioso, più è attratto e spregiudicato e, sfidando la sorveglianza e non curante del rischio, riusciva puntualmente ad apporre sul gigante componimenti, critiche ed offese.

Particolare rilievo ebbe la vicenda che vide come protagonista il viceré Luis De la Cerda, Duca di Medinaceli. Quest’ultimo per combattere l’impudenza partenopea annunciò la sua intenzione di offrire 8.000 scudi a chiunque avesse fornito notizie utili all’arresto dei rivoltosi. Come risposta a questa iniziativa, i napoletani, il giorno seguente, fecero trovare sul gigante un foglio con il quale venivano offerti ben 80.000 scudi a chi avesse portato la testa del viceré in piazza Mercato.

Per quanto le autorità si sforzassero di frenare il fenomeno, il Gigante continuò ad essere per molto tempo la satira del popolo napoletano.

Purtroppo però nel 1806, Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e fratello di Napoleone, non sopportando l’irriverenza partenopea e le critiche che, tramite la statua, il popolo gli muoveva contro, decise di risolvere il problema drasticamente, ordinando di rimuovere la statua dalla piazza per farla riporre nelle scuderie di Palazzo Reale per poi essere definitivamente abbandonata al Real Museo Borbonico di Napoli, attuale Museo Archeologico Nazionale, tuttora ivi dimorante immemori della sua provenienza, dei suoi piu di 2000 anni di vita, e della sua gloriosa e storica lotta alla politica di governo.

Ma come a far vedere che il napoletano non si arrende mai, con un colpo di coda, appresa la notizia, prima che questa fosse smontata per il trasposto, qualcuno ebbe il tempo di lasciare un ultimo significativo messaggio sulla statua, . Quelle che possiamo definire come le ultime parole del gigante, esso decretò:

“Lascio la testa al Consiglio di Stato, le braccia ai ministri, lo stomaco ai ciambellani, le gambe ai generali e tutto il resto a re Giuseppe”

Facendo intendere chiaramente quale fosse la parte riservata al sovrano…

…e chissà che re Giuseppe non abbandonò il trono napoletano a favore del cognato Gioacchino per scappare lontano dall’ indomabile e irriverente popolo partenopeo...

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