I “Ponti Rossi”, come distruggere un manufatto bimillenario

COME DISTRUGGERE LA MEMORIA DI UN MANUFATTO BIMILLENARIO

Il problema della distribuzione delle acque potabili, nelle città lontane dalle sorgenti, è sempre stato presente fin dai tempi della colonizzazione greca.

Già nel IV secolo a.c., Napoli (Neapolis) cominciò ad essere servita da un acquedotto sotterraneo per la cui realizzazione vennero usate le cavità sotterranee scavate dai coloni greci per estrarre il materiale lapideo necessario ad edificare la città innalzata sopra di esse.

Queste cavità, usate come cisterne, furono messe in comunicazione tra loro attraverso una rete di cunicoli che ricevevano l’acqua da una sorgente del monte Somma, nel paese di Volla, da cui il nome “acquedotto della Bolla”.

In seguito i romani, che dovevano far fronte ad una maggiore richiesta di acqua potabile per l’ampliamento della città e per rifornire anche il loro esercito e tutte le ville “patrizie” distribuite in tutto il litorale partenopeo, ampliarono la rete creando 400 km di cunicoli e cisterne sotterranee che, dalla sorgente del Serino, nell’avellinese, distribuiva l’acqua in tre diramazioni principali.

La prima giungeva fino ai paesi di Pompei, Ercolano e Stabiae, dove vi erano allocate la lussuose ville; la seconda approvvigionava Napoli, Casalnuovo e Acerra, in pratica il centro città e i paesi interni subito limitrofi; la terza arrivava a Bacoli e Capomiseno.

Il ramo che approvvigionava Napoli, grazie a un percorso sotterraneo, entrava da Capodichino, passava per la cupa di Miano, scendeva per la valle dei Ponti Rossi e qui l’acquedotto si divideva in due: una direttrice portava verso Sant’Eframo, il giardino botanico, il quartiere dei Vergini, il largo delle Pigne per poi terminare nel centro dell’antica Neapolis presso San Pietro a Maiella (decumano centrale).

L’altro ramo seguiva un tragitto superiore al precedente, infatti saliva per la collina di Sant’Elmo, passava per il convento di Gesù e Maria, per la chiesa di Montesanto e dietro quella della Trinità degli Spagnoli, quindi per la collina superiore alla spiaggia di Chiaia poi arrivava sopra la grotta puteolana, ove si divideva ancora in altri due rami, uno forniva l’acqua a Bagnoli ed alle famose ville di Posillipo, l’altro in direzione Pozzuoli e Baia, riforniva il grande serbatoio di Miseno così da poter alimentare, oltre la famosa piscina “Mirabilis”, anche la flotta imperiale romana, insediatasi a Capo Miseno.

Tornando all’ oggetto del nostro racconto, la zona dei Ponti Rossi, poco nota agli stessi napoletani se non per il tratto di acquedotto di epoca romana, era molto conosciuta ed apprezzata nei tempi antichi come zona fertile, luogo ideale per l’agricoltura

Il tratto di acquedotto che si vede ancora oggi e che porta il nome di “Ponti rossi”, deriva dai laterizi di colore rosso con cui fu costruito, insieme al tufo.

Le date incise su alcuni tubi di piombo consentono una precisa datazione dell’opera al tempo dell’imperatore Claudio, (Lugdunum, 1º agosto 10 a.C. – Roma, 13 ottobre 54).

Purtroppo la sua funzione, nonostante l’avanzata ingegneria dell’epoca che permise la costruzione di una rete idrica avvenieristica, durò solo(si fa per dire) mezzo millennio.

Infatti nel 535, l’Imperatore (bizantino) d’Oriente Giustiniano, intenzionato a riconquistare i territori occidentali dell’Impero, decise di dichiarare guerra agli Ostrogoti (che in quel periodo occupavano Napoli e gran parte dell’Italia meridionale), in modo da recuperarne il possesso, e affidò l’impresa al suo generalissimo Belisario.

Egli conquistò subito la Sicilia e nel 536 invase la Calabria incontrando praticamente nessuna resistenza. In breve tempo giunse dunque a Napoli dove dapprima tentò di convincere i napoletani a sottomettersi spontaneamente ma, quando si rese conto degli inutili tentativi, decise di assediare la città, di saccheggiarla e, per arrivare alla loro resa, dovette distruggere l’acquedotto del Serino che smise, in quel preciso istante, di funzionare.

Da allora, piu volte ci fu il tentativo, nell’arco dei secoli, di ripristinare il prezioso indotto ma alla fine, un po per la complessità dell’opera, un po’ per il costo sproporzionato da affrontare, ma anche per sopraggiunte condizioni di scarsa igiene (infatti con il tempo la rete si trovò ad essere sottoposta a quella fognaria, condizione che fu causa del rapido diffondersi della peste), tutti i progetti furono bocciati e la rete bimillenaria fu abbandonata a se stessa fino ai giorni nostri, tangibile testimonianza delle condizioni di forte fatiscienza della sua piu evidente testimonianza, i “Ponti Rossi”.


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