L’immagine allegata ci porta in una Napoli del 1889 in largo sant’Agostino alla Zecca, al centro storico a ridosso del corso Umberto I.
Per la realizzazione della chiesa dedicata a Sant’Agostino avvenuta tra il 1400 e il 1500 ad opera della dinastia D’Angiò, venne recuperata la struttura di un precedente monastero di San Vincenzo, ormai ridotto a rudere, nel 1259 e che fu ceduto appunto agli Agostiniani.
La nascita e la definitiva sistemazione del complesso di Sant’Agostino Maggiore avvenne solo all’indomani della cessione del cimitero delle monache basiliane da parte del vescovo Aiglerio e la consacrazione di Carlo I d’Angiò e di Carlo II, suo figlio, alias Lo Zoppo.
Quale luogo di vita degli agostiniani vi si accedeva dal sagrato della chiesa attraverso la torre campanaria, tra le più alte di Napoli oltre che unicum dell’arte sveva.
In una delle sue ultime e rare ristrutturazioni furono riportati alla luce i resti di un tempio romano dedicato a Giove.
Nel 1496 durante la resistenza al tribunale dell’Inquisizione, i frati donarono il chiostro come tribunale del popolo e successivamente diventò noto come luogo che celebrò un processo postumo a Masaniello.
Nonostante la sua importanza storica e le sue dimensioni da vera e propria cattedrale, è tuttora chiusa a causa dei danni subiti durante il terremoto dell’Irpinia del 1980.
Oggi questa millenaria casa di Dio è umiliata da sporcizia e sosta selvaggia di auto come nell’inquadratura presa da Google earth e le monumentali scalinate sono ricettacolo di rifiuti, siamo a ridosso del frequentatissimo corso Umberto e a due passi da piazza Calenda e dall’ospedale Ascalesi.
In una veduta di Alessandro Baratta, dal mare, del 1680, conservata alla Biblioteca Nazionale di Napoli, si vede da sinistra a destra il Duomo con la cupola della cappella del Tesoro (sulla cui sommità ha una croce anziché la scultura raffigurante le due ampolle del sangue), al centro la chiesa di Sant’Agostino alla Zecca in tutta la sua lunghezza con il suo campanile, sulla destra il campanile di Sant’Eligio, senza che sia visibile il celebre orologio.
Molto interessante la murazione meridionale di difesa lungo tutta la linea di quella che sara in seguito via Marina e le numerose porte di cui la principale detta di Sant’Andrea con il suo bastione, del tutto sparite, impressionante la vicinanza della costa, altezza molo Pisacane, il mare oggi arriverebbe a lambire il rettifilo.
Sempre nella stessa veduta si nota sul lato sinistro e di lato la porta della pietra del pesce, dove vi era edificato l’edificio della pescheria destinato al mercato ittico, costruito per volere di Ferdinando II.
Sarà pesantemente danneggiato dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale e, semidistrutto, abbattuto nel dopoguerra.
La porta della Pietra del Pesce, che sarebbe stata demolita in quell’occasione, rappresentava il posto di gabella per i prodotti ittici.
Il suo nome deriva dalla zona in cui si trovava, la quale a sua volta prendeva il nome da una leggenda medievale legata al mago Virgilio.
Si narra che Virgilio per mantenere il pescato della città sempre fresco incise con un incantesimo su di una pietra l’immagine di un pesciolino vivo.