Belisario e Totila, quando il popolo napoletano rischiò l’olocausto

PREFAZIONE

Nel 500 d.c. si ebbe la fine dell’Impero Romano d’occidente in seguito all’invasione di un popolo proveniente dalla penisola scandinava e originario dell’isola di Gotland in Svezia, gli Ostrogoti, che occuparono parte d’Europa e l’intera penisola italica, compresa la città di Napoli fino ad allora di dominio romanico.

Alla rinascita dell’Impero romano d’Oriente, con capitale Bisanzio, l’imperatore Giustiniano volle riprendersi quelle terre che furono parte dell’Impero romano d’Occidente, e riportare così l’Italia nel dominio imperiale.


BELISARIO

   A tale scopo l’imperatore bizantino inviò uno dei suoi migliori generali, Belisario, che con poco più di 10.000 soldati, riuscì a sconfiggere i Vandali insediatisi in Africa settentrionale, quindi sbarcò in Sicilia dando il via alla campagna italica.

Una volta sull’isola, si impossessò con un astuto espediente della città di Palermo, dopodiché si diresse verso Siracusa dove, dopo avere sconfitto i goti, distribuì alla popolazione medaglie d’oro che, stanca della vecchia dominazione, lo accolse come un liberatore.

   Nel 536, cioè l’anno successivo, Belisario lasciò la sicilia ormai conquistata, e sbarcò in Calabria dove anche questa popolazione, scontenta del malgoverno goto, si arrese facilmente ai Bizantini che poterono proseguire agevolmente la loro marcia verso Napoli.

LA MARCIA SU NAPOLI

   Nel VI secolo , in tutta l’Europa, solo due città avevano potenti mura difensive, Napoli e Cuma e, per il loro ottimo assetto tattico e tecnico, le uniche modifiche che ebbero durante la loro esistenza, furono gli allargamenti perimetrali dovuti alla espansione delle città.

   E contro queste possenti mura dovette fare i conti anche il potente Belisario che, nel suo cammino dalla Sicilia, attraversato il “Pons Padulis”, antenato del ponte della Maddalena, e notata l’invalicabilitá della difesa partenopea, dovette fermarsi alle porte della città, si suppone nei pressi di porta Capuana, costruita nel 1484 da Ferrante d’Aragona, prima ancora dell’arrivo dei Goti.

   Più volte Belisario cercò di penetrare le mura e conquistare la città, ma ogni attacco servì solo a far perdere all’esercito bizantino numerosi soldati e, vista l’inespugnabilitá delle mura napoletane, gli fu consigliato di oltrepassare la città partenopea e di affrontare il re goto direttamente a Roma dove, una volta sconfitto, si sarebbero di conseguenza aperte le porte di tutte le città meridionali occupate.

L’ASSEDIO

   Ma Belisario, per non lasciare alle sue spalle città ancora nemiche, non accettò il consiglio e mandò un ultimatum agli assediati promettendo, nel caso di resa, di risparmiare la vita a chiunque si trovasse all’interno delle mura, compreso le guarnigioni gote.

   Ma il messaggio di risposta da Napoli fù:
– «Sbagli a minacciare degli innocenti tenuti prigionieri da barbari padroni che, pur volendo, non potrebbero mai contraddirli.

   I goti hanno lasciato qui le loro famiglie e loro preziosi oggetti per restare a difesa delle mura, e se noi aprissimo a voi la città sarebbe ormai un tradimento verso di loro.
Conquista prima Roma e avrai Napoli ma se non riuscirai a conquistarla anche qui non sarai più al sicuro e avrai solo distrutto il tuo esercito e noi».

In pratica fù, da parte del popolo Napoletano, un netto rifiuto alla proposta del generale il quale, immaginando cosa avrebbe provocato il violento ingresso nella città, dei soldati al suo seguito, provò ancora a convincerli:

-« Io desidero che voi vi rendiate conto di ciò che la vostra decisione potrebbe scatenare, e che quindi accogliate, per il vostro bene, l’esercito del mio imperatore.

   Se voi accetterete le mie condizioni, avrete vinto i goti oppressori e sarete liberi da qualsiasi tipo di molestie, e questo valga per tutti i napoletani che vorranno seguire il mio impero e che io sono pronto a ricevere e a concedere loro eguali beni che demmo dapprima ai Siciliani e che certo non potranno mai accusarci di falso giuramento.

Anche i goti che ancora sono nella vostra città, saranno liberi di tornare alle loro case ma se non accetterete queste imposizioni, uccideremo chiunque ci sarà contro.»

Il messaggio di Belisario arrivò ai Napoletani, in un primo momento essi imposero, a loro favore, per la resa, gravose condizioni nei confronti dei bizantini che, nonostante tutto, accettarono pur di porre fine all’assedio senza ulteriori spargimenti di sangue ma, mentre si era quasi sul punto di aprire le porte, mal consigliati da una parte di popolo favorevoli ai goti, cambiarono idea e decisero di resistere.

A Belisario non restò altro che iniziare l’assalto chiudendo l’acquedotto e prendendo per sete gli abitanti che continuarono comunque a resistere ancora a lungo.

   Dopo più di venti giorni il generale bizantino stava per decidere di rinunciare all’assedio e proseguire alla volta di Roma per aggredire direttamente il re goto ma, prima del ritiro dell’esercito, un suo soldato ebbe idea di ispezionare le condotte dell’acquedotto che portavano le acque all’interno della città e vi trovò un passaggio dove un uomo, spoglio di armi e uniformi, sarebbe riuscito a passare e quindi a penetrare di nascosto eludendo la sorveglianza delle mura.

   Avuta la notizia, Belisario programmò di farvi passare un piccolo gruppo di uomini senza armi e armatura che, sottopassate le mura, avrebbero abbattuto le guardie, aperto le porte dall’interno e permesso così l’ingresso all’intero esercito.

   Prima di dare il via ad una strage, per la città di Napoli senza precedenti, decise di dare ancora un’ultima possibilità di resa spontanea, consapevole che all’assalto sarebbero seguiti saccheggi e stragi da parte dell’esercito ormai stanco e nervoso per il lungo assedio e senza più controllo, cosa che egli avrebbe voluto senz’altro evitare, e mandò loro ancora un altro messaggio:

«Molte volte fui spettatore della conquista di città, e vidi cose orribili fino alla strage dei suoi maschi adulti, alle donne fu risparmiata la vita ma solo per approfittare di loro tra atroci e miserabili patimenti, mentre i bambini furono costretti a servire odiati padroni.
Mi dispiacerebbe vedere anche questa splendida Napoli in preda ad atroci distruzioni come le città che io vidi già vinte.

Mi rincrescerebbe che un’antica città come la vostra, popolata da seguaci di Cristo, ed anche in altri tempi da Romani, fosse avvolta in un crudele scempio, trovandomi soprattutto io alla testa delle truppe imperiali delle quali di certo non potrò reprimere il loro furore se entreranno di forza nelle mura.

Dunque, finché avete potere di scelta di un più vantaggioso destino, fate pace con noi, con chi vi consiglia per il meglio, ed evitate la straziante scelta, dalla quale una volta fatta, non potrete piu uscirne.»

L’ASSALTO

   Ma purtroppo la risposta fu ancora una volta negativa e il generale decise di dare inizio al suo piano, diede a 400 soldati il compito di entrare in città tramite l’acquedotto e di uccidere le sentinelle di guardia per poi consentire al resto dell’esercito l’ingresso in città.

Una volta eliminate le sentinelle, con un suono di tromba diedero il segnale ai soldati che aspettavano fuori e l’invasione ebbe così finalmente e agevolmente inizio.

Maggiori difficoltà le trovarono nel lato delle mura frontistanti il mare (probabilmente dove ora vi è la zona del mercato) poiché quest’ultimo era difeso strenuamente dagli ebrei napoletani consapevoli dell’odio che i Bizantini provavano nei loro confronti per essersi opposti alla resa; infatti,nonostante il nemico fosse già penetrato in città, essi resistettero fino all’alba, alla fine furono circondati e annientati.

E i bizantini dilagarono in ogni largo, in ogni strada e in ogni vicolo, la città fu sottoposta a saccheggio, e i soldati imperiali, ma ancora di più gli Unni loro terribili alleati, uccisero, senza distinzione di sesso e di età, chiunque incontrassero sul loro cammino; perfino nelle Chiese, sacro luogo d’asilo, massacrarono coloro che vi erano entrati nel tentativo di salvarsi, e depredarono case e altro di ogni valore e la città si svuotò della sua popolazione.

Belisario, che già immaginava tutto questo e che fece di tutto per evitarlo, a strage iniziata, prima che il popolo napoletano sparisse del tutto, cercò di fermare i suoi uomini rivolgendosi direttamente a loro:

«-Iddio ci ha fatto dono della vittoria ma noi mal ripaghiamo questa fortuna.
Abbiamo ridotto in nostro potere una città fino ad ora inespugnabile e ora, mostrando umanità, diamo prova del diritto di averla soggiogata senza portare perenne odio verso i napoletani, nessun vincitore dovrà infierire sui vinti poiché non si ucciderebbero più nemici ma gente sottomessa.
Fate in modo che il vostro premio sia il valore guerresco e che i vinti capiranno di quale amicizia si siano privati rifiutandoci.-»

Riuscito a convincere i suoi guerrieri nel fermare la strage, Belisario lasciò liberi i numerosi prigionieri destinati ad essere schiavi e restituì gran parte dei beni trafugati, ma ormai la città era deserta, molte case rimasero vuote, Napoli era una città fantasma.

IL RIPOPOLAMENTO

   In seguito, conquistata Roma, anche papa Silverio, saputo dell’orrenda notizia, rimproverò il generale del suo saccheggio e questi, pentito della sua azione, decise di ripopolarla.

Belisario fece ritorno a Napoli e in tutta la provincia ed anche oltre, raccolse uomini e donne per riempire le abitazioni vuote, antichi testi dicono che furono trasferiti, nella città semideserta, cumani, pozzolani, interi villaggi provenienti da Liburia, Chiaiano, Sola, Piscinola, Trocchia, Somma, e non essendo ancora sufficienti, fece arrivare coloni anche dalla Sicilia, da tutto il sud Italia e dall’Africa.

   E dopo Napoli e Roma, il grande Belisario sconfisse i Goti in tutta la penisola italica, quindi fu richiamato in patria dall’imperatore Giustiniano per difendere i confini dell’impero da altri assalitori, i persiani.

L’AVVENTO DI TOTILA

   Ma i goti, sotto un nuovo re, Totila, approfittando della mancanza di uno dei migliori generali bizantini, tornarono a pretendere i diritti sulla penisola riconquistando le città perse pochi decenni prima e nel 542 erano di nuovo alle porte di Napoli.

E Totila, nuovo re dei goti, come fece Belisario, prima di assalirla, rivolse ai Napoletani un discorso in cui assicurava loro che in caso di resa sarebbe stato clemente poiché furono gli unici a resistere ostinatamente a Belisario quando quest’ultimo li assediò nel 536; anche il presidio bizantino sarebbe stato risparmiato a patto che abbandonasse la città.

I Napoletani e il presidio preferirono attendere tuttavia altri trenta giorni speranzosi che l’Imperatore bizantino inviasse ulteriori soccorsi, e Totila concesse loro tre mesi di tempo per decidere se arrendersi spontaneamente o no, nel corso dei quali giurò che non li avrebbe molestati.

Ma i viveri ormai scarseggiavano e molti morirono per deperimento fino a quando la carenza di grano costrinse loro ad aprire le porte al re goto prima della scadenza della tregua.

Fortunatamente per Napoli, Totila fu clemente con i vinti, mostrando una bontà fuori dal comune per un barbaro e, temendo che i cittadini, stremati dalla fame e privi di forze per il protrarsi dell’assedio, potessero morire soffocati assumendo troppo cibo in una sola volta, ne somministrò a tutti ma con cautela, dapprima in razioni modeste e poi poco alla volta sempre più consistenti, in modo che potessero recuperare gradualmente le forze senza pericoli.

RITORNO A BISANZIO

   Nel 548, al posto di Belisario venne nominato comandante delle truppe in Italia, Narsete, il quale riuscì a vincere e uccidere Totila ponendo fine alla guerra gotica. Napoli ritornò in mano bizantina, e sotto il suo governo restò per molti secoli.

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