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Nel cuore di Napoli nasceva, il 28 febbraio 1764, Maria Luisa Fortunata de Molina, una giovane destinata a un tragico e appassionante destino.
Figlia di don Pedro de Molina, un generale borbonico di origine spagnola, e di Camilla Salinero, crebbe tra le mura di una famiglia nobile, nutrita da tradizioni antiche e ambizioni pericolose.
A soli diciassette anni, la vita di Maria Luisa cambiò radicalmente.
Sposò Andrea Sanfelice, un giovane cugino ambizioso e vanaglorioso ma privo di mezzi.
Quel matrimonio non le portò né titolo né sicurezza.
Andrea, benché appartenesse a una famiglia nobile, non godeva di fortune economiche, e la sua vicinanza ai duchi di Lauriano e Agropoli non lo risparmiò dal tracollo che sarebbe presto seguito.
Napoli divenne per loro teatro di scandali, debiti e dissolutezza, tanto che la madre di Maria Luisa implorò la corte di intervenire.
Così allontanati dalla capitale, i Sanfelice furono confinati nel piccolo villaggio di Laureana, mentre i loro tre figli venivano strappati dalle braccia materne e inviati in convento.
Tuttavia il trasferimento non frenò la loro vita dissipata.
La corte, esasperata, separò la coppia: Andrea venne rinchiuso in un convento a Nocera mentre Maria Luisa fu costretta in un monastero di rieducazione a Montecorvino Rovella.
Il loro ritorno a Napoli nel 1794, segnò un nuovo capitolo della loro disastrosa esistenza.
Andrea, invischiato nei debiti, venne arrestato e poi graziato grazie alle sue scelte filoborboniche.
Tuttavia il destino di Napoli stava per cambiare drammaticamente con l’invasione francese del 1799 e la nascita della Repubblica Partenopea.
In questo clima turbolento, Maria Luisa si trovò al centro di intrighi pericolosi.
Pur non essendo una giacobina, la Sanfelice si muoveva agilmente tra le fazioni monarchiche e repubblicane, finché venne a conoscenza di una congiura borbonica orchestrata dalla famiglia di banchieri Baker, originari della Svizzera.
A guidare la trama contro la Repubblica vi erano Gerardo Baccher, giovane ufficiale innamorato di Maria Luisa, e altri membri della sua famiglia.
Maria Luisa, sebbene non ricambiasse l’amore di Baccher, usò l’influenza che aveva su di lui per ottenere un salvacondotto che consegnò poi al suo amante, Ferdinando Ferri, un ufficiale della Repubblica.
Ferri, intuendo la portata del complotto, lo denunciò al Comitato di Salute Pubblica, sventando così la cospirazione.
Il tradimento di Maria Luisa la rese agli occhi di molti una novella Lucrezia.
L’intellettuale Eleonora Pimentel Fonseca, una delle voci più importanti della Repubblica, ne celebrò l’audacia nel suo giornale, il Monitore Napoletano.
Tuttavia l’elogio della Sanfelice contribuì a segnare la sua rovina.
Il re Ferdinando, furioso per l’esito della congiura, la inserì nella lista delle persone da condannare, nonostante la caduta della Repubblica.
Quando la monarchia borbonica fu restaurata e i Baccher giustiziati in gran fretta a Castel Nuovo, la vendetta del re su Maria Luisa divenne inesorabile.
Sebbene fosse stata dichiarata incinta da due medici, un escamotage che le avrebbe permesso di ritardare l’esecuzione, la corte non le concesse la grazia.
Venne trasferita a Palermo dove una commissione medica negò la sua gravidanza.
Fu condannata a morte l’11 settembre 1800, un destino che sembrò, agli occhi di molti, una crudele vendetta orchestrata con spietata precisione.
In quegli ultimi giorni, Napoli si riscoprì spettatrice di una tragedia che aveva il sapore dell’ingiustizia.
Maria Luisa Sanfelice, una figura in bilico tra amore, inganno e politica, divenne il simbolo di una lotta più grande di lei, tra un passato monarchico che non intendeva cedere, e un futuro repubblicano soffocato sul nascere.
Anche dopo la sua morte, la storia della Sanfelice continuò a ispirare artisti e scrittori.
Le sue vicende vennero narrate e dipinte, congelando il suo volto e il suo destino nelle opere dell’Ottocento, da Gioacchino Toma a Modesto Faustini, che ritrassero la sua tragica esistenza.
La sua storia, ormai lontana dalla cruda realtà dei fatti, si era trasformata in leggenda, una leggenda che ricordava quanto fragili fossero gli equilibri tra amore, potere e rivoluzione.
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