Capri, da “inferno” a “paradiso”

UN “INFERNO” CHE DIVENTA “PARADISO”
Dedico questa lettura a tutti coloro che credono in una Capri perennemente felice, oziosa e turistica, lontana dagli orrori delle guerre e dai sacrifici.
La sua storia ha visto altalenare momenti prosperi a momenti terribili, periodi in cui era sede di imperatori e momenti in cui gli unici “turisti” di passaggio erano pirati che la passavano a ferro e fuoco, e l’unica salvezza per la popolazione era il rifugio in siti, dell’isola rocciosa, difficili o quasi impossibili da accedervi.

Unita un tempo alla terra ferma, le prime civiltà che arrivarono nel golfo, diffusero, nell’isola, il culto delle sirene e l’idea che esse risiedessero a Capri, è favorita dalle caratteristiche naturali dell’isola, ricca di distese verdi e di pericolosi precipizi che la rendono tanto simile alla descrizione di Omero e all’isola fiorita descritta da Esiodo.
Nel 29 a.C. l’imperatore romano Cesare Ottaviano, tornando dall’Oriente, sbarcò a Capri e, nello stesso periodo, una quercia vecchissima ricominciò a dar segni di vita.
L’imperatore, interpretando questo come un segno favorevole, tolse Capri dalla dipendenza di Napoli (sotto la quale viveva dal 328 a.C.), dando in cambio la più grande e fertile isola di Ischia e facendola diventare, quindi, dominio di Roma.
Fu così che l’isola diede già un’avvisaglia del suo prestigioso futuro diventando il soggiorno prediletto di Augusto e dimora di Tiberio che, per dieci anni, abbandonò la dimora di Roma facendo costruire numerose ville imperiali, e per un lungo periodo non fu Roma ma Capri “caput mundi”, dove i “cesari” decidevano i destini dell’umanità intera.

E questo forse il periodo in cui le sue bellezze cominciarono a segnare la sua sorte di meta agognata di ogni facoltoso vacanziero, sede di nobili, principi e imperatori, e non per caso Augusto cominciò a chiamare l’isola Apragopolis, cioè “città del dolce far niente”.
Con la fine dell’epoca imperiale, Capri ritornò a far parte dello Stato napoletano, non piu difesa ma abbandonata a sé stessa e flagellata da numerose scorrerie musulmane e barbare, a tal punto che vide i propri abitanti costretti ad abbandonare Marina Grande, il villaggio nato per dare un approdo all’isola, per rifugiarsi sulle alture.
Per secoli passò sotto vari domini, Il principato di Salerno, la repubblica di Amalfi, gli angioini ma, situata in un punto strategico di passaggio per le scorrerie dei pirati, continuava ad essere loro vittima indifesa.
Esse degenerarono durante l’impero di Carlo V e flotte corsare, guidate dallo spietato Kheir-ed-Din, soprannominato il Barbarossa, saccheggiarono Capri non meno di sette volte incendiando il castello nel 1535, da allora chiamato il Castello Barbarossa.
Nel 1553 ancora una seconda invasione, che si risolse nel saccheggio e nell’incendio della Certosa, fu compiuta dall’ammiraglio Dragut, un corsaro ottomano che, nel sedicesimo secolo, grazie alla sua abilità marinaresca e bellica imperversò con violenza, nel Mar Mediterraneo.
Egli si sarebbe innamorato di una donna caprese che, da preda di guerra divenne la sua compagna tradendolo poi con un suo sottoposto.

Il pericolo di incursioni come queste portò Carlo V ad autorizzare gli abitanti a girare armati, e nuove torri vennero costruite a difesa dell’isola.
Nel Settecento, per volontà di Carlo III di Borbone, iniziarono sull’isola i primi scavi archeologici mirati al recupero di reperti provenienti dalla splendide dimore fatte costruire dagli imperatori romani e moltissimi furono trasportati a Napoli.
Nei primi anni dell’Ottocento l’aspra lotta fra Napoleone I e l’Inghilterra coinvolse anche Capri.
Nel 1806 venne occupata dai francesi che dovettero lasciare agli inglesi solo dopo pochi mesi.
Essi per due anni agirono incontrastati, vi stabilirono una nutrita guarnigione e realizzarono alcune opere di fortificazione che resero l’isola una “Piccola Gibilterra”, causando però danni irreparabili alle rovine delle ville imperiali. In quel periodo Capri contava circa 3.000 abitanti.
Nel 1808 fu il nuovo re del decennio francese Gioacchino Murat ad impossessarsene e vi rimase fino alla fine della potenza napoleonica e alla restaurazione borbonica nel 1815 con Ferdinando IV.
Questo fu il periodo in cui i capresi cominciarono a prendere coscienza del loro ruolo nel mondo, cominciarono a dimenticare le scorrerie pirate e le guerre di conquista diventando il simbolo di quel turismo d’elite che tutti noi conosciamo e, con la celebre Grotta Azzurra, diventerà famosa in tutto il mondo.
La seconda metà del XIX secolo è l’epoca del suo risorgimento. Gli artisti romantici che visitavano la piccola isola del Golfo di Napoli rimanevano affascinati dalla sua natura immacolata, dai panorami a picco sul mare e dalla semplicità con cui i pochi abitanti conducevano le loro vite.
Capri fu inserita come tappa fondamentale del Grand Tour, il viaggio dei giovani aristocratici dell’epoca nei paesi europei, e un numero sempre maggiore di artisti e intellettuali sceglievano di ritirarsi per lunghi periodi (a volte per tutta la vita) nelle loro ville capresi.
Dopo il conflitto tra Russia e Giappone del 1905 divenne il rifugio preferito da tutti gli esuli russi, trasformando l’Isola Azzurra in una piccola oasi politico-letteraria.
In questo scenario si colloca anche il progressivo mutamento dell’economia isolana che ha visto un progressivo declino dell’agricoltura e della produzione del corallo a favore del settore turistico.
Una piccola leggenda circonda l’isola legandola “sentimentalmente” al vicino Vesuvio, seguitela sul nostro video:

La leggenda di un amore diviso dal fuoco e dall’acqua (il video)

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